Cogito, ergo-

La cosa che salta subito all’occhio quando ci si accinge a studiare la lingua russa è un paradosso interessante, in realtà una basilare ovvietà per loro: non hanno la forma del verbo essere al presente. In russo si può dire “io sono stato” e “io sarò”, ma non esiste un modo per dire “io sono”, se non utilizzando un verbo compensatorio, “sushestvovat'”, che però significa in senso più specifico: “esistere”. Esiste in realtà l’espressione “è” alla terza persona, ma si utilizza esclusivamente per indicare che qualcosa o qualcuno c’è in un determinato momento, oppure la formula del possesso, costruita alla latina: “a me è…(e quello che in italiano sarebbe complemento oggetto, diventa soggetto della frase). Inizialmente l’assenza del verbo essere, sostituito da un misero trattino, lascia sbalorditi. “Io sono Sergej” in russo si dice: “ya- Sergej”, ovvero “io- Sergej”. E così via: “io- felice, io- stanco”, “lei- bella”…un giorno una persona di squisito umorismo fu colta da un dubbio amletico: ma allora i russi come hanno tradotto l’espressione del film: “io Tarzan, tu Jane?”, si chiese. Ottima domanda!
Riflettendo su questo aspetto linguistico, ancora una volta ci troviamo di fronte all’ambigua e meravigliosa profondità di questa lingua, dei significati filosofici e culturali racchiusi nelle sue espressioni. Quella che sembra una formula primitiva, grossolana, ai limiti del povero, è in realtà tutt’altro che una perdita: è un’interpretazione estremamente fine. Il fatto che il verbo essere non si pronunci, e si scriva con un trattino (-), un meno, un non, non fa che arricchire, negandolo, il senso dell’essere. Il verbo essere, in realtà…non è! Può essere colto solo tramite la negazione, l’assenza. Lo stato dell’essere al presente è impronunciabile, perché non appena lo si dice, è già scivolato via nel passato; può essere solo menzionato come già stato o come programma futuro. In questo senso il russo fa un passo avanti rispetto ad altre lingue. In certi idiomi, la parola “dio” non può essere scritta, si deve ricorrere, nuovamente, alla negazione, al trattino; per i russi “Dio”, “Бог”, non solo si può scrivere, ma con ben precise regole linguistiche che chiariscono quando scriverlo con la lettera maiuscola o minuscola (tranne che ai tempi dell’Unione Sovietica, in cui naturalmente era vietato scriverlo in maiuscolo, evviva l’ateismo). Non è Dio a non esistere, ma l’essere stesso. Anche Dio è soggetto alla regola del verbo essere al presente, dunque non può essere, non “è”- può solo essere stato o dover essere. Cartesio avrebbe avuto un bel grattacapo in Russia, a tradurre perfettamente il suo “cogito, ergo sum“! Perché per i russi io penso, ma ciò non implica che io esista; nel momento in cui penso trascorre il mio pensiero come trascorro io stesso. Io penso, dunque-

3 Risposte a “Cogito, ergo-”

  1. Io adoro la russia e tutto ciò che rappresenta la russia! e la loro lingua è cosi ricca, un vocabolo specifico per ogni situazione e contesto. Splendido articolo che introduce bene anche le tante sfaccetature che caratterizzano questo paese.
    Ray

  2. Grazie Ray!
    Fa sempre piacere vedere quante persone come me siano affascinate da questa lingua ma soprattutto ricevere commenti a questa mia nuova idea del blog. Se avessi qualche suggerimento, proposta, osservazione ecc fammi sapere, mi piacerebbe molto creare un dibattito e anche eventualmente pubblicare articoli- obiezioni- suggerimenti altrui. Grazie ancora!

  3. Notevole, e non è nemmeno l’unica lingua che non usa la copula. In Africa sono molte a non farlo, ma perché la qualità viene percepita parte inscindibile della cosa: non c’è il principio del terzo escluso. Qui mi sembra invece venga data un’interessante lettura in chiave temporale. Affascinante.

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