Incantati dall’Incantatore

Consiglio la lettura di un testo brevissimo ma con delle descrizioni di eccezionale bellezza: “L’incantatore” di Vladimir Nabokov. Si tratta di un’opera scritta nel 1939 e accantonata, precedente a Lolita e che ne doveva essere una sorta di “preparazione”, di allenamento. Nella sua sinteticità è per certi versi a mio parere persino migliore del celeberrimo romanzo. Fu riscoperta da Dmitrij Nabokov soltanto negli anni Ottanta, grazie alla sua traduzione inglese.
La vicenda è ambientata in Francia e ha per protagonista un quarantenne vizioso invaghito di una dodicenne, che corre, proprio come un treno, attraverso il suo crescente e peccaminoso desiderio, verso la sua inevitabile e tragica catastrofe- il finale dell’opera ha una lirica eccezionale, e anche nella traduzione italiana riesce ad essere tremendamente forte nell’uso dei termini, in un  crescendo che culmina nell’espressione: “e la pellicola della vita si spezzò”.
Oltre a colpire per il finale che, proprio come una pellicola, si spezza assieme alla vita del protagonista, e rompe ogni possibilità di replica, lasciando il lettore attonito e colpito dalla violenza contro la violenza di un violentatore (perdonatemi il paradosso), l’opera è interessante per la maniera in cui riesce a creare un legame empatico con il protagonista, -depravato pedofilo-, e le sue pulsioni, di cui a volte egli stesso inorridisce, ma che lo avviluppano e rappresentano per lui dati di fatto. Lascia sbalorditi la raggelante lucidità della sua perversione- egli è perfettamente consapevole della sua inclinazione deplorevole, che talvolta cerca di giustificare:”e se, invece, la via all’estasi passasse davvero attraverso una membrana sottile, soffice e glabra, che non ha perso la fragranza e il lucore tramite i quali si penetra fino alla palpitante stella di quell’estasi?”. l linguaggio a volte è lineare e fattuale, altre volte si abbandona a straordinarie metafore e figure retoriche, che rendono l’io- narrato (con una tale precisione da rendere quasi inverosimile l’uso della terza persona) ripugnante ma allo stesso tempo affascinante (e ci si vergogna quasi, proprio come lui, d’esser affascinati dall’intelligenza e dal linguaggio che incanta di un pedofilo, eufemisticamente chiamato Волшебник, Incantatore). Eppure la magia di Nabokov è proprio nel suo insinuarsi in quel pertugio che sta tra il peccato e il pensiero, tra il desiderio e l’attuazione del desiderio, tra la meraviglia e l’orrore: lo scrittore ci  seduce, ci incanta con le sue parole, messe in bocca a perversi personaggi con turbe psichiche; ha l’ardire di ingannarci ed obnubilarci con la retorica per mostrare lo scempio di un istinto sessuale nefando, eppure non criminale, eppure inattuabile perché improponibile, estremo. E’ questo suo limitarsi ad insinuare, ad alludere, che sbalordisce per la sua efficacia sulla nostra moralità: è sufficiente il pensiero per meritare una condanna? Pensare significa già peccare? L’Incantatore lo dice chiaramente: “via, non sono uno stupratore” e ancora: “sono un borsaiolo, non uno scassinatore”. Il suo desiderio resta inespresso, trattenuto a stento, e quando straripa non si compie né si appaga, ma esplode in autocondanna. in distruzione- una punizione quasi eccessiva per una semplice pulsione, per quanto raccapricciante- eppure è proprio unicamente lì, in quel pensiero, in quell’insinuazione, ad esserci il velo del crimine, della violazione. Eppure quel velo è sufficiente, quelle parole…fatali. Come non restare incantati e insieme disgustati da frasi come ” la luminosità dei grandi occhi un po’vacui, che ricordavano in qualche modo la trasparenza dei chicchi di uvaspina” e ancora: “una foglia avvizzita tremolava fra i capelli di lei, vicinissima al collo, sopra la delicata protuberanza di una vertebra- nel suo prossimo attacco d’insonnia lui avrebbe continuato a strappare via lo spettro di quella foglia, ad afferrarlo e a strapparlo con due, con tre, infine con tutte e cinque le dita”? Le molte descrizioni del desiderio per la ragazzina, declinato senza timore da Nabokov, sono talmente allettanti a livello linguistico, che per un po’ ci conducono per mano appresso all’Incantatore, stregati dal piacere delle sue assonanze, di melodie come “il flusso e il riflusso della vestaglia chiara, ancora tremolava davanti ai suoi occhi, come attraverso un cristallo”; sicché restiamo persino sbalorditi quando è lui stesso a lasciare bruscamente la nostra mano e porre fine a quello scempio lessicale, perché- e qui nel confessarlo il nostro rossore aumenta e si fa quasi inquietudine- quella mano non l’abbiamo lasciata di nostra iniziativa, neppure quando la faccenda si era fatta più che scottante. Ha vinto lui, l’Incantatore, nell’aver sfiorato e sedotto non ancora la nostra empatia, quanto il nostro “piacere”.