L’immagine di una donna che dorme è divenuta, per il suo essere così delicata e suggestiva, un topos letterario e non solo: è un simbolo degno d’esser reso eterno dalle parole e dalla pittura. Nell’immaginario collettivo, la donna dormiente è simbolo d’attesa e di sospensione: immobile ma non morta, è in pausa, sospesa, indifesa- basti pensare alla fiaba della “Bella Addormentata”.
L’immagine più affascinante e poetica della donna che dorme si trova ne “La prigioniera” di Proust. Ossessionato di gelosia per l’amata Albertine, Marcel è pervaso da un’inquietudine perenne non soltanto sul presente, ma anche sul passato di Albertine, e sulle mille Albertine che, in sua assenza, occupano la sua mente. L’amore proustiano è soprattutto possesso, tentativo (vano) di impossessarsi per intero dell’idolatrato oggetto d’amore, il cui ostacolo è in primo luogo il corpo- secondo Mauro Lavagetto, “un involucro che impedisce di vedere oltre le parole, la più primitiva ed impenetrabile delle parole”. Esso non può essere in alcun modo penetrato e compreso da Marcel, poiché il possesso fisico, l’empatia con l’amata, non sono che impressioni che lasciano con il vuoto in mano. L’amato è sempre e comunque sfuggente ed impenetrabile nella sua individualità, mentale e corporea. Dunque è soltanto quando Albertine dorme, che Marcel può placare la sua ossessione, illudendosi di possedere finalmente per intero la sua prigioniera- condannato dunque a goderne in privato, furtivamente, a spiarla a sua insaputa:
“Non ne sentivo altri (di rumori) al di fuori del respiro che veniva ad affiorare sulle sue labbra, a intervalli intermittenti e regolari, come un riflusso, ma più sopito e più dolce. E nel momento in cui il mio orecchio coglieva quel rumore divino mi sembrava ch’esso condensasse tutta la persona, tutta la vita dell’incantevole prigioniera, distesa là sotto ai miei occhi…(…) La sua capigliatura, discesa lungo il volto rosato, le posava accanto sul letto, e, a volte, una ciocca isolata creava lo stesso effetto di prospettiva di quegli alberi lunari gracili e pallidi che spuntano, rigidi, sullo sfondo dei quadri raffaelleschi di Elstir… (..) Mi ero imbarcato sul sonno di Albertine (…) Il rumore del suo respiro, facendosi più forte poteva dare l’illusione dell’ansito del piacere, e quando il mio s’era compiuto potevo baciarla senza aver interrotto il suo sonno. Mi sembrava, in quei momenti, d’averla posseduta completamente, come una cosa incosciente e senza resistenza della muta natura (…) Assaporavo il suo sonno come un amore disinteressato e pacificante, non diversamente da come rimanevo per ore ad ascoltare il frangersi dell’onda…”
E’interessante il paragone con i vegetali della “bella dormiente”: “ormai era animata solo dalla vita inconsapevole dei vegetali, degli alberi, una vita più remota della mia, più strana, e che tuttavia m’apparteneva di più”.
Il voyeur straziato da un amore idealistico è costretto a sfogare le sue passioni in segreto, ricorda Nabokov ne “L’incantatore”, Волшебинк, in cui il morboso personaggio maturo, attratto scandalosamente da una ragazzina dodicenne e per nulla leziosa, la spia mentre dorme, ardisce persino a sfiorarla, spogliarla- è l’unico momento in cui la sua perversione può sfogarsi senza essere vista, ma con il rischio terribile che lei si svegli- possibilità che, in realtà, aumenta l’eccitazione, ma che conduce alla tragedia in quanto accade davvero: “quando vide che lei, del tutto sveglia, fissava con occhi esterrefatti la sua rampante nudità”.
In Nabokov abbiamo addirittura l’utilizzo dello stesso aggettivo, “prigioniera”, per descrivere l’oggetto d’amore morboso, nonché un chiaro riferimento pittorico, avvalorato dalla minuziosa descrizione della fanciulla mentre riposa:
“Ecco. Un originale senza prezzo: ragazzina dormiente, dipinto a olio. Il viso traspariva dal suo morbido nido di riccioli, qua sparsi, là arruffati, con quei piccoli solchi sulle labbra arse e quelle particolari grinze delle palpebre appena sopra le ciglia socchiuse e una sfumatura rossobruna e rosata sulla guancia più prossima alla luce, il cui profilo fiorentino era già di per sé un sorriso”.
Il tema, infatti, non ha certo lasciato indifferente grandi pittori di tutti i tempi. Gli occhi chiusi durante il sonno, la cui vivacità e il cui colore sono celati dalle palpebre, hanno un ruolo fondamentale. Una persona che dorme appare molto diversa da com’è da sveglia, poiché nel primo caso è quasi resa neutra, ricoperta di marmo come una statua, privata di espressione. Tuttavia, la maestria dei pittori sta proprio nell’esser riusciti a conferire espressione ai volti delle donne dormienti, il che è reso possibile dall’arcuatura delle sopracciglia, dalla posizione della bocca.
Per quanto riguarda la pittura russa, alla nostra amata Galleria Tret’yakov di Mosca si può ammirare il dipinto di Fedor Antonovich Moller, “La ragazza dormiente” Спящая девушка. Moller, pittore pietroburghese dell’Ottocento, è noto soprattutto per il suo ritratto di Gogol’. Della ragazza che dorme ci colpisce la posizione atipica: essa riposa seduta, il capo reclinato, come se si fosse appena assopita, non volendolo forse, annoiata da qualche discorso o da un’attesa- o di posare per la realizzazione del quadro? Il viso è grazioso, reclinato, serrato, il nero dei capelli contrasta in modo evidente con il rosso vivo della poltrona di velluto su cui è adagiata. Nel complesso il dipinto comunica grazia e compostezza. La dama ci si concede, inconsapevole del nostro spiarla, ma con questa “Albertine” Proust avrebbe avuto non poco di cui dannarsi. Il suo sonno è precario, instabile, la sua posa suggerisce un riserbo, una chiusura che la accompagna persino durante il sonno, rendendola impenetrabile.
Un’immagine più soddisfacente per Proust, ma forse meno suggestiva, potrebbe essere quella della “Ragazza dormiente” del Venetsianov (1840), che ci regala una visione idealistica del sonno della donna, paragonabile al classicismo impeccabile della “Venere dormiente” di Giorgione. In entrambi i dipinti, la posizione reclinata dona armonia all’immagine, il volto della bella dormiente è pieno, grazioso, non deformato dal sonno, la posizione delle mani è altrettanto gradevole nella sua apparente casualità. Il sonno appare lungo, tranquillo.
Sospingendosi con Proust sulle suggestioni evocative che provoca il sonno, spingiamoci all’estremo dell’onirico nel celebre dipinto di Dalì: “Sogno causato dal volo di un’ape intorno alla melagrana un attimo prima del risveglio”. Anche in questo caso è raffigurata una donna nuda che dorme, ma è sul punto di svegliarsi, e il suo sogno- una melagrana da cui escono due tigri dietro a una baionetta, e un bizzarro elefante con zampe lunghe e sottili come trampoli sullo sfondo- evidenzia il surrealismo dell’inconscio. I paesaggi onirici non hanno confini in quanto a fantasia, ma Proust rivela che il sonno stesso è un paesaggio:
“Ascoltavo il mormorio di quell’emanazione misteriosa, dolce come uno zefiro marino, fiabesca come il chiaro di luna, che era il suo sonno. Il suo sonno in riva al quale sognavo con una fresca voluttà di cui non mi sarei mai stancato, di cui avrei potuto godere all’infinito, era per me un intero paesaggio. Il suo sonno metteva accanto a me qualcosa di non meno calmo, di non meno sensualmente delizioso di quelle notti di plenilunio in cui, sulla baia di Balbec divenuta dolce come un lago, i rami si muovono appena e, distesi sulla sabbia, si ascolterebbe senza fine il frangersi del riflusso”.
Proust evidenzia inoltre come Albertine colta nel sonno si moltiplichi all’infinito nelle suggestioni mentali di Marcel, per via delle espressioni inconsce di cui è preda.
“Pur conoscendo diverse Albertine in una sola, mi sembrava di vederne ancora molte altre riposare accanto a me. Le sue sopracciglia, arcuate come mai le avevo viste, circondavano le palpebre come un dolce nido d’alcione. Razze, atavismi, vizi affioravano sulla superficie del suo volto. Ogni volta che spostava la testa creava una donna nuova, una donna di cui spesso non sospettavo l’esistenza. Mi sembrava di possedere non una, ma innumerevoli fanciulle…”
Un concetto simile è espresso da un bellissimo dipinto di Picasso del 1932, “The dream”, che fa parte di una serie di dipinti del pittore sul tema delle donne addormentate. Qui Picasso raffigura la sua modella preferita e amante, Marie Therese, dormiente, dividendo però il suo volto in due parti: quella inferiore appare abbandonata ad un sonno profondo, mentre il viso nel complesso, comprensivo delle due parti, appare più composto e classicheggiante, beato. Il volto superiore è di colore lilla, come il collo e le spalle, e l’accostamento complessivo dei colori del quadro, dove spicca il rosso della poltrona, come nel Moller, e il giallo della chioma della donna, richiama ad un’atmosfera onirica e gioiosa. Vi sono dunque due, tre, mille donne dormienti nel quadro, le stesse che la fantasia di Proust fa danzare nella sua mente, evocate dal moto ondoso, dal ritmo costante del respiro, come un mare in cui immergersi e immaginare migliaia di volti, di donne, di realtà.