Un saluto a Dostoevskij

Molto bella la fermata del metro di Mosca “Dostoevskaya”, in onore naturalmente del celeberrimo scrittore. Hanno costruito 4 pannelli, proprio sui muri della banchina dove arrivano e partono i treni, che illustrano i suoi romanzi: Delitto e Castigo, L’Idiota, I fratelli Karamazov e i Demoni. Verso l’uscita c’è il mosaico con il ritratto di Fedor Mihailovich, e più avanti un’iscrizione: “nell’ospedale per senzatetto, nella strada Dostoevskaya, nacque nel 1821 lo scrittore russo F.M. Dostoevskij”. Sono andata a vedere l’ospedale per poveri dove egli venne al mondo- suo padre lavorava lì come medico. Si tratta di un edificio circondato da un bel giardino (dove oggi c’è una statua in suo onore) che ha tutt’altro che l’aspetto di una casa di cura per senzatetto. La particolarità è proprio la cura con cui l’edificio, dallo stile classicheggiante in realtà, fu costruito. Non lontano si trova la casa in cui visse i primi anni della sua infanzia Dostoevskij, oggi la solita casa museo. Si è trattato di un fatto del tutto insolito, per me, aver calpestato- come vorrei poter usare altre parole, ma forse questo termine, calpestare, nel suo essere grezzo e sottintendere una violazione, è proprio ciò che descrive in maniera forte l’esperienza- e spiato il luogo in cui il miglior scrittore di tutti i tempi (questo naturalmente è il mio modestissimo parere!) uscì dal ventre di sua madre Maria Fedorovna, urlante, e trascorse i primi tempi. Aver poggiato le scarpe dove lui poggiò le sue, avere guardato ciò che vide lui (che senz’altro doveva avere un aspetto ben diverso all’epoca, questo è indiscusso). Immaginare il piccolo Fedor che scorrazza per le vie di quel tranquillo quartiere nella parte nord di Mosca e gioca con il fratello Mihail, per le stesse vie dove ho camminato io sotto la pioggia, mi ha dato una sensazione mai provata in precedenza. Non potrei dire forte, violenta. Direi lieve, ma…rassicurante. Aver dato un volto (con le sembianze di un luogo, in questo caso) ad un “eroe” l’ha reso, ai miei occhi, più accessibile, quasi familiare. “E’ proprio qui- mi ripetevo- qui, dove mi trovo io ora, a Mosca, che lui è nato, che lui ha vissuto, qui e da nessun’altra parte; in un luogo come un altro, che io ho potuto senza alcuna fatica raggiungere, vedere, conoscere”. Questa sua vicinanza con me, con le persone comuni, invece di sminuirlo, l’ha reso ancora più interessante. Perché in fondo non fu nient’altro che un uomo, come lo siamo tutti, eppure fu un uomo che scrisse cose straordinarie. In questa piccola espressione, nient’altro che un mucchio di parole, “scrisse cose straordinarie”, sta l’abisso che separa gli uomini ordinari da quelli straordinari- di cui parla in Delitto e Castigo, sapendo di far parte della seconda categoria (oh, perché lui, in cuor suo, come tutti i grandi artisti, lo sapeva eccome, d’esser straordinario). L’abisso che separa qualcuno che lascia un segno nella storia da qualcuno che non lo lascia. Ma esattamente il fatto che il segno lo abbia lasciato niente di più e niente di meno che un uomo, nato in un ospedale per poveri, vissuto in un piccolo quartiere come tanti, è ciò che lo rende ancora più straordinario.