Questa è un’intervista molto particolare ed interessante che ci ha voluto rilasciare Beatrice Parisini, una mediatrice linguistica di Bologna che ha vissuto nientemeno che nel Tatarstan. Vediamo cosa ne pensa della Russia e della sua esperienza.
- Come nasce la tua passione per la Russia?
E’un’ottima domanda. Durante un corso estivo di inglese a Dublino ho conosciuto alcuni russi. Mi piaceva il suono della loro lingua. Per non parlare della letteratura e della musica classica, in particolare di Tchaikovskij: i miei genitori sono musicisti. Così ho deciso di studiare russo all’università, alla facoltà di Lingue e letterature straniere. Ho anche fatto uno scambio di 3 mesi con l’Università di Mosca RUDN, vivendo in obshezhite (dormitorio dell’università, ndr).
2. Cosa pensi che sia più difficile nello studio del russo?
Penso che la parte più delicata sia la razgovornaja praktika, la pratica di conversazione: scegliere che caso usare non è certo immediato. La grammatica di per sé, a parte i perfettivi ed imperfettivi, per cui tocca studiare due tipologie per ogni voce verbale, non è complicata. Però ha talmente tante eccezioni che diventa scoraggiante!
3. Parliamo della cultura russa in generale: cosa ti affascina della mentalità dei russi e cosa invece non ti piace?
La Russia si potrebbe definire come un paradosso. Da una parte c’è una mentalità diffusa estremamente carente, quanto a spazio per l’individuo e per le diversità. Basti pensare all’omofobia e al razzismo, alla politica, in cui se sei un amico ti osannano come un principe, ma non appena esprimi un leggero dissenso non sei visto bene. C’è molta ignoranza in giro, specialmente nei sobborghi, forse si tratta di un retaggio sovietico. Questa semplicità, questo tradizionalismo, si esprime nel bene e nel male. Di contro, i russi, appena si nomina la cultura, l’arte, il teatro, la musica, si illuminano, per loro diventi un dio. E qui si fa strada un tipo di attenzione completamente opposto verso l’individualità. Se spezzi l’iniziale barriera, la freddezza stereotipata, i russi dimostrano un’amicizia, un’ospitalità, una vicinanza del tutto unica. “Sei una di noi”, ti dicono, ed è il complimento migliore che possano farti. E’ proprio a livello del cuore, quindi, che somigliano agli italiani.
Allo stesso modo, la si ama o la si odia. Inizialmente l’impatto è pesante: è un luogo fuori da ogni concezione umana, freddo, invivibile, dove non manderesti neanche chi odi (non sto ovviamente parlando di Mosca e San Pietroburgo, ma di paesi piccoli, della vera Russia della steppa, dei monti o della tundra). La qualità della vita lì è desolante: come un’Italia trasferita in un luogo dal clima e dalla mentalità ampiamente peggiori. Tuttavia, produce in chi ci vive una sensazione contraddittoria: da una parte il desiderio di fuggire subito, dall’altra una profonda malinconia quando la si abbandona. Forse per via di un’altra caratteristica che rende la Russia così affascinante: l’animo russo, quella malinconia endemica, quella saudade profonda e viscerale, dove il Fado non ci starebbe per niente male.
4. Veniamo alla tua esperienza in Tatarstan. Come mai hai vissuto lì per ben 3 mesi, e dove?
Ho fatto uno stage, uno scambio, a Naberezhnye Chelny, piccolo paese del Tatarstan famoso per la KAMAZ, una fabbrica di camion. Ho lavorato per un’azienda turca che si occupa di cardani (l’albero di trasmissione dell’auto che collega il motore alle ruote). Mi occupavo di fare da tramite tra russi e italiani, svolgendo la tipica vita aziendale, tra telefonate, contabilità e ricerche di mercato, in un team di 20 persone. Non mi sono fatta spaventare dal lessico specifico tecnico: nell’ambito del commercio le parole da usare sono sempre le stesse, si imparano in fretta. Nonostante la crisi, ho avuto l’impressione di un giro di lavoro intenso. Rispetto all’Italia, l’atmosfera lavorativa e interpersonale è molto più rilassata. Per esempio, una collega ha mandato più volte lettere di licenziamento per poi ritirarle, ed è stata comunque accettata in azienda. Fosse accaduto in Italia, l’avrebbero crocifissa!
5. Com’è la cultura tatara? Penso che davvero in pochi la conoscano….
E’molto legata a quella turca, la lingua tatara è molto simile al turco, così come le tradizioni e la religione musulmana, ma non sono rigidi osservanti (bevono, mangiano maiale ecc.). E’una cultura diversa da quella russa, è più verace ma nuova, mista. Sono persone estremamente gentili e semplici, mi ha colpito la loro grande disponibilità, forniscono un aiuto attivo, si interessano degli altri. Rispetto a Mosca, dove circola la cultura e si sentono anche critiche politiche costruttive e interessanti, nei paesi piccoli sono tutti incondizionatamente pro Putin. Effettivamente non è difficile capire il perché: è un leader realmente interessato al paese, la gente si rende conto che può fare cose che 30 anni fa non poteva assolutamente fare. In Tatarstan c’è quel forte irrigidimento verso il diverso (gay, odio per l’America) di cui parlavo prima, ma poi si trovano paradossi ancora più grandi che nelle grandi città: moschee accanto a chiese cristiane ortodosse (basti pensare allo splendido Cremlino di Kazan, la capitale), in totale armonia. Proprio perché forse hanno letto il Corano meglio di altri sanno che il rispetto per le culture diverse è un valore da non trascurare e che da loro è ben visibile.
Consiglio di visitare il Tatarstan, è sottovalutato. Kazan è una città splendida. Ho anche visitato il sito archeologico di Bulgar, molto suggestivo. Non sono riuscita, purtroppo, a visitare Elabuga, dove si è suicidata la poetessa Marina Tsvetaevaja.
6. A livello burocratico, com’è lavorare con i russi?
C’è un forte richiamo all’Unione Sovietica che si nota nei particolari, come l’uso ossessivo dei timbri: ovunque bisogna mettere il timbro ufficiale, originale. Tutto dev’essere sempre consegnato di persona, fino alla follia: per ricevere gli inviti per i Visti degli stranieri, dovevamo ogni volta andare fisicamente da Naberezhnye Chelny a Kazan’ in macchina (4 ore!) perché non era contemplata la possibilità di inviarli via mail!!! Ovviamente la burocrazia è estenuante, ma solo a livello di facciata. Qui compare un altro paradosso: c’è un’attenzione maniacale alle procedure, limacciose e antiquate, ma poi c’è ben poco rispetto per le regole nella pratica: si lavorava in un cantiere senza scarpe anti-infortunio, in ciabatte. La guida è spericolata. I mezzi pubblici obsoleti ma efficienti (come le divertentissime marshrutke, autobus che si fermano a richiesta lungo la strada).
7. Quali sono i tuoi obiettivi futuri? Pensi di tornare in Russia?
Vorrei sicuramente tornare in Russia, in primo luogo per migliorare la lingua, voglio arrivare al livello C1. In futuro il mio obiettivo è lavorare con la Russia in ambito commerciale, rappresentando un collegamento tra Russia e Italia/Europa, ma non vorrei trasferirmi lì per sempre: preferirei avere base in Europa e poi viaggiare costantemente alla scoperta della Russia. Un sogno è quello di fare la Transiberiana. Sto anche valutando di insegnare l’italiano ai russi, che è una specializzazione della mia formazione, e ho ricevuto una proposta in questa direzione.
Alcune immagini di Naberezhnye Chelny gentilmente concesse da Beatrice.
Qui sotto, il fiume Kama.