Bryansk, un ricordo

In Russia l’immensità del suo territorio si nota ovunque, persino nelle città più piccole. Bryansk ha solo 400,000 abitanti, eppure sembra non finire mai, i suoi spazi sono dilatati, gli edifici gettati. Heidegger diceva che il dramma dell’uomo è quello di esser gettato al mondo, ed ecco che Bryansk è gettata al mondo senza alcuna ragione. Ci sono città che ti lasciano qualcosa dentro, Bryansk ti lascia un senso di vuoto. Non è facile definirla, perché non è forse neppure una città. E’un luogo di confine. Divisa in 4 quartieri uniti da ponticelli, bagnata dal fiume Desnà, non ha un vero e proprio centro. Ogni area è dilatata, insignificante, indistinguibile dalle altre. Gli edifici sono tutti bassi e relativamente recenti, nessuno è storico. Sono case, palazzi e negozi vecchi ma moderni, non contemporanei ma nemmeno antichi.

Negli hotel, nei palazzi, tutto è vecchiotto, stantio, caldo. Il legno scricchiola nei palazzi governativi di stampo sovietico, dai tappeti vecchi e odorosi, c’è qualcosa di solenne e di decadente.

Bryansk non ha un colore, racconta qualcosa che non riesci a vedere. Ci sono grandi piazze, tra cui immancabilmente la statua di Lenin, ma nessuna di esse è quella centrale. Non c’è la tua piazza rossa a Bryansk, non c’è la tua culla, né il tuo punto di riferimento.

Bryansk non c’è. Non c’è più. E’stata privata della sua storia, cui si aggrappa disperatamente. Respiri distruzione e voglia di ricostruire, di creare una storia nuova. Non me ne vogliano i suoi abitanti, che sottolineano quanto Bryansk sia la città dell’orgoglio partigiano, quanto abbia valorosamente combattuto contro l’esercito di Hitler. Tutto ciò non si può negare, tuttavia di quella gloria non sono rimaste che poche tracce, che vanno cercate nel viale dei Partigiani, un’estesa area boschiva in cui è situato il loro museo.

Lì troverai una tipica donna russa, l’aria severa e il corpo pacioso e paffuto, che ti condurrà ad un’escursione tra carri armati e cimeli bellici, parlando come una macchina, dando ogni cosa per scontata, ma se farai una battuta sui partigiani o le farai notare che i fascisti non sono i nazisti (tuttavia non importa, va bene così, facciamo pure di tutta l’erba un fascio!), ti guarderà assai indispettita e ti mostrerà tutto il suo rispetto ed orgoglio per la storia delle generazioni precedenti della sua terra.

Ed è lì, nel bosco, che Bryansk vive. In quelle sterminate aree boschive che ti lasciano interdetto, in quel verde umido e odoroso delle conifere esplose in primavera. Nel bosco trovi appese agli alberi le foto dei partigiani, tra di essi combattevano anche donne e bambini, continua a sottolineare la guida. Nel museo vedrai una scultura fatta delle suppellettili dei soldati, sentirai le storie strappalacrime delle famiglie spezzate dalla guerra, dei treni assaltati con le mine. Entrerai in un opprimente accampamento partigiano di legno, dove, mentre le zanzare ti massacrano, ascolterai di come vivevano e dormivano i soldati, gli uni schiacciati contro gli altri.

In quello spiazzo puoi provare a chiudere gli occhi e immaginare quello che non c’è più, inghiottito dalla terra e dalla polvere. E di Bryansk si forma una flebile idea, riecheggiano i caratteri sbiaditi di un ricordo su un fazzoletto, i pezzi di un aereo abbattuto. Delle cose trascorse ci si ricorda così, senza riuscire a delineare davvero i contorni. Si fa estrema fatica a ricomporre un volto nella mente, e Bryansk è questo, un ricordo indefinito. Ma ecco che su quella storia perduta e invisibile cresce l’erba, canta ostinatamente qualche rondine, un bambino grida.


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