La camera oscura di Nabokov: un romanzo precursore di Lolita

C’è un altro romanzo di Nabokov non dissimile da Lolita, interessante ed accattivante: si chiama “Camera oscura” o (nella versione italiana) “Una risata nel buio”– titolo il cui senso si potrà comprendere solo verso la fine.

Pubblicato per la prima volta in russo nel 1932, si può dire che anch’esso sia uno dei romanzi ispiratori di Lolita, assieme a l’Incantatore. Non è chiaro per quale motivo Lolita sia divenuto tanto celebre e questo romanzo, altrettanto interessante e di molto precedente, non abbia avuto alcuna eco. Probabilmente era troppo forte per l’epoca in cui fu scritto, e assai meno raffinato di Lolita.

La sua trasposizione cinematografica, “Laugher in the dark”, nella versione italiana: “In fondo al buio” è un film del ’69 di Tony Richardson, la cui protagonista è l’attrice Anna Karina (bellissima ma, rispetto alle descrizioni di Nabokov, meno giovane, meno ammaliante e forse deludente: non ci sarà mai alcuna Margot che possa corrispondere all’infinito immaginario che scaturisce dalla prosa letteraria. Forse solo la splendida Sue Lion di Kubrick è riuscita miracolosamente ad eguagliare la magia descrittiva dello scrittore).

Si tratta di un romanzo che oscilla tra la commedia e il dramma, dove il tema centrale è sempre la nabokoviana attrazione di uomini maturi per graziose ninfette adolescenti, tra i 13 e i 16 anni. Questa volta però, rispetto al di poco successivo Incantatore (1939) e a Lolita (1955), siamo di fronte al classico adulterio: l’uomo in questione, l’ingenuo e benestante Albinus, è sposato con una figlia e non divorziato come il celebre Humbert o vedovo come il protagonista dell’Incantatore.

L’incipit del romanzo è beffardo e geniale: comincia con un brevissimo resoconto di ciò che accadrà in seguito- due meravigliose righe in cui viene riassunta la trama- e scommette arditamente che, nonostante ciò, resterà di affascinante lettura (vincendo la scommessa).

Se ne L’incantatore, come in Lolita, il protagonista sposa una donna matura per poter arrivare al suo vero, imberbe oggetto d’amore- una ragazzina-, la storia sentimentale tra il berlinese Albius (nella versione russa: Bruno Krechmar) e la seducente Margot (nella versione russa: Magda) comincia per puro caso, con il volto di lei illuminato dalle fioche luci di un cinema, che coglie impreparato Albius e lo destabilizza, e prosegue nel più classico dei modi- con successivi incontri furtivi, fino al dramma vero e proprio, quando viene scoperto dalla moglie.

Ne L’Incantatore la ragazzina è totalmente innocente ed inconsapevole dell’attrazione erotica che esercita sull’uomo maturo: è un oggetto passivo, puro ed innocente, minuziosamente descritto, meravigliosa proprio perché inconsapevole e “dormiente”; in Lolita la consapevolezza c’è ma è più subdola, delicata ed elegante. Nello sfrontato “Camera oscura”, invece, siamo di fronte ad una disinibita Lolita di strada, una “piccola fiammiferaia prostituta”, ammiccante e spregiudicata, dichiaratamente attratta dal tintinnio dei soldi, dalla bella vita e dal sogno di diventare un’attrice. La sua evoluzione è sconcertante: da misera bambina picchiata dai genitori, rapita e abbandonata da uomini- che vede come l’unica possibilità di salvezza-, diventa una capricciosa diva del cinema che si trova detestabile quando si rivede nelle scene registrate e che non mostrerà alcuno scrupolo o pietà nel circuire un Albius sempre più rimbambito. Per questo motivo, il personaggio femminile, seppur forte, tutt’altro che sciocco e giustificato dalla giovane età e dalla posizione sociale, non riesce (e non vuole) suscitare alcuna empatia o compassione nel lettore.

L‘Incantatore è un flusso di coscienza, un torbido soliloquio che sfocia nel manierismo stilistico, impeccabile e perverso, sottile, catartico e caustico nel delitto quanto nel castigo. Ne la Camera oscura, al contrario, i toni sono alleggeriti e sgombri, meno interessanti a livello stilistico/letterario rispetto all’Incantatore, e prendono la piega di una tragicommedia, un teatrale feuilleton.

Non mancano il cinismo, la suspance e lo humour, ad alleggerire il tutto. Il sagace vignettista Rex, spettatore divertito di una commedia il cui direttore artistico non è né Dio, né il Diavolo, ma piuttosto un “fantasmagorico, magico Proteo, la traccia diafana dell’arco descritto da bilie di vetro multicolori in volo, l’ombra di un giocoliere su un sipario luccicante…”, gongola all’interno di un succoso piatto dal cui non può esimersi dall’attingere, frapponendosi tra l’ingenuo Albinus e la fatale Margot, creando un triangolo a dir poco imbarazzante. L’umorismo culmina nell’ignoranza di una attrice dell’epoca, il cui nome d’arte è Dorianna Karenina, ma che nemmeno conosce Tolstoj (nella traduzione dal russo il testo è stato cambiato, e dice addirittura: “Chi? Doll’s toy?, senz’altro una buffa trovata del traduttore, ma forse eccessivamente farsesca rispetto all’originale nabokoviano, in cui l’ironia è sempre ben bilanciata alla sobrietà della prosa) e nelle patetiche scene in cui Albinus, reso cieco dalla rabbia e dalla gelosia (in seguito ad un incidente d’auto), diventa oggetto di crudele beffa da parte dei due amanti, in particolare di Rex.

De la Camera Oscura colpisce la tragedia annunciata, la parabola di totale decadenza cui Albinus è la vittima-artefice, che consapevolmente si getta in un turbine sempre più stretto e deprecabile di annullamento, decadimento ed ossessione, e tutto per il viso “pallido, imbronciato, di una bellezza struggente” e il corpo snello di una ragazzina che viene scambiata per sua figlia. Il potere funesto e sedativo della bellezza e della giovinezza corrodono e ottundono l’animo puro dell’uomo sposato, rendendolo cieco in senso letterale e poi fisico, impossibilitato dalla sua stessa passione, gelosia e ossessione non soltanto a tirarsene fuori, ma anche solo a comprendere di essere circuito, umiliato e strumentalizzato senza alcun riguardo proprio dalla bella ragazzina di cui si è invaghito. E’qui la camera oscura della mente del protagonista, in una curiosa analogia con quella fotografica, perché di superficie si parla, dello scintillio traslucido di un’immagine d’ingannevole grazia, del profumo inebriante della pelle tesa e olivastra di Margot e del frusciare del suo vestitino rosso, del lento spegnersi e contorcersi su se stessi dei sensi di Albinus, reso invalido, ridicolo, nullo.

Non c’è redenzione, nessuno spiraglio che possa frenarne la caduta. Come un Edipo ben poco regale, invischiatosi fino al collo nel pantano con le sue mani, Albinus troverà la pace nell’unico modo in cui potrebbe farlo: in quel’ “onda azzurra, così azzurra. Quale estasi c’è nell’azzurrità…”

Ondeggiando nella camera oscura, osservando l’oscurità della sua mente e dei suoi inutili occhi, una “risata nel buio” si fa senz’altro, ma è assai amara.

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2 Risposte a “La camera oscura di Nabokov: un romanzo precursore di Lolita”

    1. Grazie, davvero. Lieta di averti incuriosito. Tra l’altro a questo punto non puoi non leggere anche l’Incantatore… altamente consigliato anche quello!

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