La lingua russa e le sue parole “demoniache”

Homo faber fortunae suae“: l’uomo è artefice della sua sorte, può costruirsi il futuro che desidera, così dicevano i latini. Questo, naturalmente, in teoria. In teoria il libero arbitrio esiste, in pratica ogni giorno ci si deve scontrare con migliaia di “no”, “è chiuso”, “voto zero”, “non è possibile”, e una miriade di altre irritanti espressioni che fanno capire che no, purtroppo se nella vita potessimo fare ciò che vogliamo, saremmo tutti sdraiati su un’amaca, o attorniati di donne/uomini stupendi, ma soprattutto di buonumore. Ma non divaghiamo. Il punto è che la parola faber ha una connotazione positiva: il “”faber” del mondo latino è colui che fa: l’artigiano, il costruttore. Il nobile mestiere cui allude questo termine, quello del fabbro, è sinonimo di benefattore. In greco antico, invece, fabbro si traduce sidereus, dalla parola “sideros“, cioè ferro. La radice indoeuropea di sid significava luminoso, splendente. I fabbri dell’antica Grecia, in questo senso, erano bizzarri artigiani che lavoravano con il ferro e con altri metalli, connotandosi come ambigui connettori tra il mondo divino (splendente) e il mondo terreno: demiurghi che grazie alla loro fine arte erano in grado di forgiare una materia apparentemente rigida e indomabile e creare bellezza. Il fabbro dunque non è solo un artigiano, ma una sorta di figura intermedia, di demone (basti pensare ad Efesto, il fabbro degli dei dell’Olimpo, e ai suoi misteriosi rimaneggiamenti sul mondo).
La lingua russa ci porta ancora più avanti in questa connotazione del fabbro, svelandoci qualcosa di particolare se non inquietante. In russo fabbro si dice kuznets. L’etimologia della parola è da ricondurre a quella di kozn’, cioè intrigo (parola naturalmente che in russo, guarda a caso, è di genere femminile). L’intrigo ha per antonomasia una connotazione negativa, demoniaca, maligna: ciò che è difficile, ingarbugliato, annodato non può che essere una trama oscura. Il loro fabbro, dunque, non è un buon ed innocuo artigiano, ma un misterioso e macchinoso creatore di intrighi, garbugli, forse inganni. L’etimologia di molte parole russe, spesso, mostra l’ambiguità e il contrasto rispetto alla connotazione latina, occidentale delle cose: rivela il dark side, il lato oscuro, del mondo e dell’essere umano, mostrando attraverso il linguaggio le innumerevoli sfaccettature, spesso anche inquietanti, che può avere un concetto, una persona, un oggetto. Questo è uno degli aspetti che personalmente mi intrigano di più della lingua russa: la sua complessità tendente al pessimismo, al diabolico. L’essere umano (perdonatemi la banalità del concetto) contiene in sé non soltanto il Bene, ma anche e soprattutto il Male- per parafrasare grossolanamente concetti che nella cultura russa più che mai portò alla luce Dostoevskij. Egli affermava ironicamente che i grandi uomini andrebbero tagliati a metà, divisi, poiché in loro, come in tutti, c’è un lato malefico che, se nel caso degli uomini “piccoli” (in senso di poco facoltosi, che non hanno grande influenza sul mondo) non può fare che minuscoli danni, nel caso di quelli grandi può portare a funeste catastrofi. Interessante notare come, seguendo l’idea di Dostoevskij, bisognerebbe fantasticamente risfoderare proprio il mitologico fabbro Efesto per dividere gli uomini a metà, come già fece nel famoso mito greco di Aristofane della “metà perduta”, citato da Platone nel Simposio: gli uomini anticamente erano doppi, tondi e provvisti di entrambi i sessi; perfetti e tracotanti, osarono eguagliarsi a Dio (Zeus) e per punirli egli ordinò ad Efesto, il fabbro, di dividerli in due parti; da quel momento ogni uomo cerca la sua metà perduta. Dostoevskij, in questo senso, riprenderebbe il mito greco, con l’idea di tagliare l’uomo a metà, ma ribaltandolo “alla russa”: la divisione dell’essere umano, secondo lui, non sarebbe una perdita di perfezione, bensì un notevole miglioramento!