Irrational man e Dostoevskij

Uccidere uno sconosciuto, così, da un momento all’altro, senza niente di personale. Uccidere perché quella persona sta rovinando la vita di un’altra, altrettanto sconosciuta, e perché in generale è una persona corrotta che svolge male il suo lavoro e arreca danni agli altri. Uccidere un dittatore, un assassino, uno stupratore è giusto? Il tema classico dostoevskiano della giustificazione del delitto torna a farsi vivo al cinema con Irrational man di Woody Allen, da sempre affascinato e ossessionato da Dostoevskij. In questo caso, la grande domanda morale sulla legittimità dell’omicidio (che scomoda l’annoso problema della pena capitale) è altrettanto radicale che in Raskol’nikov. Il protagonista di Irrational man uccide un estraneo dopo aver inavvertitamente ascoltato una conversazione in un bar: quel giudice, corrotto, non avrebbe mai permesso a una donna l’affidamento dei suoi figli. Compiere un delitto perfetto, nella profonda convinzione che sia un atto morale e puramente altruistico e disinteressato, permette al professore depresso e alcolista di ritrovare il senso della vita e il gusto dell’esistenza. Una morte per celebrare una rinascita, compiere il bene attraverso il male.

Tutto ciò è la perfetta copia di Delitto e Castigo anche nel movente. E’ vero che la vecchia usuraia Alena Ivanovna teneva Raskol’nikov in scacco con i prestiti che era costretto a chiederle, tuttavia non è ciò che lo spinge ad eliminarla. Raskol’nikov la uccide a scopo dimostrativo della legittimità del delitto, se a compierlo sono “uomini straordinari”, che cambiano il mondo e lo indirizzano ai loro scopi, compiendo dunque il loro dovere verso l’umanità intera, al di là delle convenzioni sociali.

Uscire da se stessi e abbracciare l’umanità, sacrificarsi per lei diventando pienamente uomo tramite l’eliminazione fisica del male, sporcarsi le mani e toccare l’assoluto di Dio, decidendo della vita e della morte di qualcuno, assumendosi la colpa e l’orrore del delitto, e non poter essere capiti né giustificati per un gesto simile- è proprio di questo che stiamo parlando, ed è la cosa più comune e banale del mondo. Ciò che non è banale è tentare di giustificarlo sul piano etico (accade ogni giorno che qualcuno compia un omicidio senza neppure prendersi la briga di darvi una motivazione razionale: è più comodo bollare l’orrore come misterioso, irrazionale, incomprensibile). Chiamerei quindi, piuttosto, il protagonista del film di Woody Rational Man, perché il male compiuto dall’uomo è quasi sempre razionale (e quello irrazionale, semplicemente, lungi dall’essere meno “grave”, non è interessante, è sullo stesso piano del caso).

Va da sé che Raskol’nikov rimane un folle e non un genio: l’uomo non può essere Dio semplicemente perché non lo è (o perché Dio non esiste, se vogliamo restare sul piano del nichilismo). Sostituirsi a Dio non può che restare, dunque, un tentativo fallimentare.

Irrational man, nobile nell’intento dell’omaggio, non riesce però ad essere all’altezza del grande Fedor Mikhailovich. In tanti dicono che il vecchio Woody era nettamente meglio del nuovo Woody, che sforna ormai un film all’anno e sembra che debba farlo per forza- anche le idee, a lungo andare, esauriscono. Effettivamente film come “Manhattan” non sono paragonabili agli ultimi, tuttavia “Basta che funzioni” e “Scoop” sono apprezzabili e divertenti. Irrational man invece è uno di quelli che dà credito al luogo comune del decadimento di Allen (che ci sta, avendo 80 anni): caro Woody, hai niente di meno che Joaquin Phoenix, grandissimo attore, gli fai fare pure il professore di filosofia, il che accresce il suo fascino, scegli una trama palesemente dostoevskiana e… rovini tutto con dialoghi banali, cliché già visti, un primo tempo noioso e scontato e un secondo tempo appena appena godibile (salvo solo il dilemma morale di accusare una persona di cui sei stato innamorato)? Dannazione! Capisco che si tratta di film commerciali che vede chiunque, ma perché far dire allo stimato professore di filosofia nichilista e depresso le solite cose che ci si aspetta da un personaggio simile, ma senza un briciolo di originalità? Perché farlo parlare di Kant riducendo l’imperativo categorico al divieto assoluto di mentire (riduttivo e improprio, direi)? Prendiamo Fargo, una serie tv che sta avendo molto successo: tarantiniana, ottima fotografia, suspance e dialoghi brillanti. Ad un tratto una ragazzina cita il pessimismo di Camus in due parole (il concetto della morte che nullifica qualunque progetto) e il risultato non è né pedante né banale. Io penso che si potesse fare altrettanto con i dialoghi di Irrational man, tenendo conto che ci si aspetta di più dalle uscite di un professore di filosofia. Anche in True Detective il mitico detective Rust, decadente, nichilista, lovecraftiano e nietzscheano è tratteggiato come un puro demone alla Stavrogin, e il monologo riesce ad essere brillante, non saccente, non troppo banale.

Capisco che non sia facile scegliere un tema così alto e insuperabile e cercare di rivisitarlo in chiave “pop”. Capisco che a volte al cinema si senta bisbigliare quelli di fianco, lamentandosi del fatto che il film sia “troppo concettuale” (in fondo, ormai sono sempre meno quelli che vanno al cinema per conoscere o pensare: si va principalmente per divertirsi). Tuttavia… un po’ più di accuratezza nei concetti, espressi in maniera non tanto più profonda (perché diventerebbe annoiante, saccente, del tutto impopolare) quanto più originale, avrebbe potuto essere la chiave di volta del film.

Caro Woody, bel tentativo, ma provaci ancora: avvicinarsi a “Dio” è comunque qualcosa che vale la pena di tentare!

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