Un eroe del nostro tempo

Homo homini stultus. L’uomo è stolto per l’uomo. Affermazione antipatica e saccente, ma permettetemi di argomentarla. C’è una sorta di influenza reciproca tra menti non brillanti, che produce e moltiplica idiozia. Il social network è il nuovo mezzo privilegiato ed istantaneo attraverso cui la pubblicizzazione del privato può diffondersi a macchia d’olio fagocitando sempre più followers. Quali conseguenze ha sulle nostre menti?

Vorrei riallacciarmi ad una splendida opera, “Un eroe del nostro tempo” di Lermontov. Unica opera in prosa del poeta russo, divisa in 5 racconti fra loro collegati, parla di Pechorin, un personaggio di moralità e carattere discutibile, eletto ad “eroe” del tempo di Lermontov (poco meno di due secoli fa). Perché Pechorin è un “eroe”? Perché rappresentava, che lo si volesse o meno, una tipologia di uomo assai diffusa- spiega Lermontov nella prefazione. Qual è invece l’eroe del nostro tempo? Proviamo a fare un confronto. L’oggetto in esame è l’uomo contemporaneo, della società “borghese”(ovvero, un giovane che goda di buone condizioni economiche), come borghese era Pechorin, fuggito dalla noia dei salotti moscoviti e pietroburghesi per lanciarsi in un’avventura nelle ostili, ricche e misteriose terre del Caucaso.

1) Pechorin è annoiato. La noia è un lusso che si può concedere soltanto chi non deve sbarcare il lunario. Fugge dalla quotidianità e viaggia alla ricerca del brivido, del rischio, di una vita piena. Fin qui, molto simile al “nostro eroe”: annoiato dalla routine del lavoro, progetta viaggi che gli diano svago e respiro, si getta in avventure all’estero, illuso che sia molto meglio che in Italia, e che le opportunità di carriera fiocchino. La differenza sta in come viene combattuta la noia. Pechorin attua in concreto le sue sfide insensate. Pechorin agisce. L’eroe del nostro tempo è troppo pigro anche per agire, per evadere. La noia lo spinge ad andare continuamente su Internet, scaricarsi app e giochi. E’ una noia che combatte in poltrona, schiacciando i tasti. Gli avventurieri sono in via d’estinzione, quando (quasi) tutto è già stato scoperto. Ai conquistatori si sostituiscono i collezionisti seriali (mi riferisco al saggio “L’amore al tempo del nichilismo” di Mauro Carbone, in cui alla figura del Dongiovanni viene contrapposta quella contemporanea del collezionista. Allorché crollano i valori morali contro cui battersi durante la conquista “blasfema” di una donna proibita, come accadeva al tempo del Dongiovanni, ci si può solo limitare a collezionare donne, francobolli, omicidi).

2) Pechorin è apatico. Vorrebbe amare le belle donne che incontra, ma non gli riesce. Le rapisce, si batte per averle, finisce persino per mettersi contro ad un amico nella conquista della principessina Mary, ma quando la ottiene, non prova nulla. Accetta un duello con l’ex amico non per amore, ma perché ormai coinvolto in un’impresa di cui, come di tutto il resto, non gli importa niente. L’unica grande emozione è il brivido della morte e del rischio, che prova durante un duello (avrà la meglio) e successivamente lanciandosi contro un cosacco ubriaco e armato, che sorprende alle spalle. L’eroe del nostro tempo è altrettanto apatico. Poco potrebbe davvero scuoterlo. Ma si batterebbe al solo scopo di combattere la noia? Rischierebbe la vita? Assolutamente no. Oggi nessuno è pronto a trovarsi in pericolo, se non per una causa che egli reputa estremamente necessaria. Figuriamoci per qualcosa verso cui non si prova nulla! Confort, sicurezza, raggiungere la vecchiaia, sono i massimi valori.

3) Pechorin, quando agisce, lo fa di nascosto. Si prefigge scopi che vanno contro la morale della società del tempo, e per realizzare i suoi piani agisce nell’ombra, perché c’è una netta spaccatura tra la sfera privata e quella pubblica. E’ l’amante di Vera, una donna sposata, che incontra furtivamente. Attua il suo piano di seduzione di Mary in silenzio, e quando ormai diviene evidente a tutti che Mary è innamorata di lui, saranno proprio queste dicerie a portarlo al duello con l’amico. La pubblicizzazione di un evento privato, la ribellione smascherata, nel mondo classico è sempre il primo passo verso la tragedia: si crea lo scandalo e le conseguenze sono funeste. L'”eroe del nostro tempo” non si preoccuperebbe di fare qualcosa di nascosto, perché ci è rimasto davvero poco margine, dietro cui agire in silenzio. Tutto è di pubblico dominio, e fare qualcosa di amorale o contro la morale comune è, al contrario, un vanto, una moda. Facebook viene a sapere del tuo amante ancor prima che lo sappia tuo marito/moglie. Fare outing su ogni cosa è un must. Affermarsi come individuo, in ogni più piccolo aspetto della propria (misera) quotidianità è l’imperativo dell’eroe del nostro tempo. L’eroe si tagga, fa check in in un qualsiasi posto, pubblica una selfie per affermare la sua presenza nel mondo. Il legame tra la fotografia istantanea e la propria voglia di divenire eterni, di affermare il proprio contatto con il mondo in un determinato momento, non è cosa nuova. Ma il social network, Internet, i media, danno all’immagine fotografica un significato nuovo. Tutto si riduce all’esibizione. All’ossessione del riconoscimento collettivo. Nel momento in cui qualcosa assume una dimensione pubblica, invece di sancire la rovina dell’individuo, ne sancisce (apparentemente) il trionfo, perché la dimensione sociale corrisponde automaticamente al successo. Il fatto che “tutto il mondo” sappia che sono alle Maldive, ad esempio, amplifica l’illusione di aver messo una bandierina della mia esistenza, riconosciuta da tutti, in uno spazio e in un tempo, e che ciò le conferisca pregnanza, valore. E’ come se ogni giorno migliaia di uomini andassero sulla Luna (invece vanno all’Esselunga). Pechorin scrive un diario con i suoi pensieri, che viene poi scoperto dal narratore e riportato come oggetto del romanzo, perché degno d’esser raccontato. Il processo della scrittura, essendo lento e non meccanizzato, creava una selezione naturale tra ciò che meritava d’esser riprodotto e ciò che non valeva un granché. Divulgare qualcosa era un atto complesso, deliberato, che comportava una riflessione sulla validità del contenuto. Oggi tutto viene ri- postato sulle bacheche altrui in un millesimo di secondo: è la fiera delle brutture, dell’innaturale esibizione di posti “dove non batte il sole”. Convertire il privato in pubblico significa attuare il “dramma” in ogni parte del globo. Spiare ed essere spiati senza ritegno ci rende vulnerabili, esposti, attaccabili su ogni fronte e quindi, conseguentemente, molto più chiusi e radicati nelle nostre idee. Abbiamo trasformato gli assassini in star mediatiche, il proprio pranzo/pettinatura/ brufolo quotidiano in un affare di stato, e una delle poche cose ancora silenziose- la beneficenza- in una “doccia fredda” di esibita deficienza. Non oso pensare al prossimo passo verso il degrado (senza contare quello, individuale e biologico, cui siamo inevitabilmente soggetti per natura). Ribadisco: homo homini stultus.

L'”eroe del nostro tempo”, se vi si dovesse scrivere un romanzo al riguardo, apparirebbe dunque così: pigro, apatico, disilluso, amante della comodità, dipendente dal social network, sposato per comodità ma fedifrago, annoiato collezionista di donne e di “like”, lieve in ogni sua affermazione (crede in Dio, ma non è osservante; ha visioni moderate sulla politica, e in generale preferisce non entrare in questioni simili), sempre sulle difensive per paura d’essere attaccato, e alla ricerca -prima dell’avventura, del brivido e dell’idea- soprattutto del quieto vivere. Un uomo che, come massima espressione del suo coraggio e valore, si può tirare in testa un secchio d’acqua. E ho detto tutto!

eroe

4 Risposte a “Un eroe del nostro tempo”

  1. Il paragone è interessante, ma permettimi di farti notare che i social network su cui sputi sentenze sono gli stessi che permettono la diffusione del tuo blog. Che poi l’approccio e i contenuti siano senz’altro più profondi della maggior parte degli sproloqui su Facebook non giustifica un accanimento così sprezzante (e snob). Non sputare nel piatto in cui mangi! Se spendi tempo a parlarne, dai molta più importanza a cose, secondo te, stupide, che non la meriterebbero. Quanto poi alle secchiate d’acqua, il fine giustifica i mezzi. Il risultato è stato che molte persone che neanche sapevano cos’era la SLA, grazie a questo stratagemma, patetico quanto vuoi, hanno fatto donazioni. E non mi pare un cattivo risultato.

  2. Caro Carlo,
    grazie per la tua critica. Sono in parte d’accordo con quello che dici. Ultimamente mi sto accanendo un po’ troppo con i social network, e sicuramente così facendo sto dando importanza a cose che non la meritano, come mi fai notare. Credo di non essere affatto immune dalle critiche che lancio, al contrario. Vorrebbero essere una sorta di auto-critica, di riflessione su ciò che i social network producono in ogni persona che li usi, me compresa. Va da sé che poi il mio sia implicitamente anche un “manifesto” per suggerire che un possibile uso positivo dei social network sarebbe quello di diffondere opinioni e contenuti che abbiano qualcosa di interessante, che siano rivolti alla ricerca sul mondo e non all’ossessiva esibizione del proprio Ego. Il mio blog nasce come tentativo di proporre contenuti che- interessanti o meno che siano- non sono volti a mostrare ciò che faccio, dove sono, con chi, ma qualcosa che osservo e a cui dedico i miei studi e viaggi (la Russia, ma non solo). Riguardo la beneficenza per la SLA, è vero che il fine giustifica i mezzi. Vero è anche che ci sarebbero stati mezzi più discreti e meno ridicoli per coinvolgere il maggior numero di persone possibili. Sarò puntigliosa e anche snob, ma guardo anche alla modalità in cui uno scopo si ottiene, perché se è di basso livello finisce per infangare l’iniziativa tout court. Mi fa riflettere il fatto che per attirare persone a donare si debba ricorrere a mezzi così imbarazzanti. Che la gente noti soprattutto questo, che si esalti a farsi riprendere mentre si tira acqua gelida addosso. In questo vedo degrado. Non certo nello scopo finale dell’iniziativa.

  3. D’accordo, ma continuo a non capire le tue critiche. Internet è soprattutto un sistema libero di espressione e diffusione di qualunque contenuto. E’ evidente che al suo interno si trovano un mucchio di stupidaggini. Molte sono anche divertenti, e fanno sentire meno stupidi di quelli che le postano. Se ti danno fastidio, non sei obbligata a guardarle/leggerle. Pensare di combattere la stupidità umana è più stupido della stupidità stessa. Senza offesa.

  4. Non preoccuparti, essere definita stupida è uno dei migliori insulti che abbia mai ricevuto! Certo, si può non guardare le “selfie” altrui, e io le guardo. La mia “teoria” era volta ad analizzare come i social network influenzino la mente di chi li usa, e si crei anche una sorta di “contagio” che spinge a comportarsi in maniera simile, postando altrettante informazioni private e non interessanti. E’ ovvio che mi rivolgo a chi li usa, altrimenti non avrebbe alcun senso ciò che dico. Per me usarli significa necessariamente essere voyeur, entrare all’interno del loro meccanismo, leggere quello che gli altri postano e subirne le conseguenze. Restarne fuori oggi è sempre più difficile.

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