Viktor Tsoy e i Kino: un gruppo sottovalutato fuori dalla Russia

Uno dei miei gruppi musicali russi preferiti è Kino, uno storico gruppo sovietico anni ’80, il cui leader è il mitico Viktor Tsoy, dall’aria orientale perché suo padre era coreano. La rock band ottenne il picco di popolarità intorno alla fine degli anni Ottanta. Parteciparono al festival “Back to the USSR” in Italia, in quel di Melpignano. C’è chi definisce il loro genere post punk, new wave, bit. Per me il loro genere è unico. Certe canzoni possono ricordare quelle punk anni 80-90 di alcuni gruppi italiani.

Kino

Viktor Tsoy è l’autore di praticamente tutte le canzoni del gruppo. Come tutte le rock star, morì giovane in un incidente stradale nel 1990, ma anche in questo fu alternativo, perché pare che al volante fosse completamente sobrio e abbia avuto semplicemente un colpo di sonno. Tsoy oltre ad essere stato una star è innanzitutto un artista. La sua poesia semplice, ma diretta e profonda, è ciò che mi ha colpito da subito. Spesso la semplicità premia, e risulta artificioso e poco coinvolgente utilizzare parole ricercate per il solo gusto di mostrare la propria cultura o essere originali. Generalmente, soprattutto nella musica, le canzoni di successo sono quelle che con parole semplici arrivano dritto dentro i pensieri di ciascuno di noi, senza troppi fronzoli. Un’eccezione sublime è De Andrè, ma Faber era un poeta e un genio, e su questo non si discute. Per quanto riguarda Viktor, le sue canzoni si collocano nel mezzo tra la semplicità “spicciola”di un Vasco Rossi ad esempio, e la ricercatezza onirica di De Gregori. Viktor Tsoy descrive la realtà del suo tempo, dell’epoca sovietica, e ascoltandolo si respira quella desolazione, quella profondità, quell’irripetibile atmosfera fatta anche di pensieri come “se in tasca c’è un pacchetto di sigarette, significa che tutto non è così tremendo oggi”. Le sue sono canzoni da cantare in ogni momento e luogo, da strimpellare con gli amici e una chitarra mentre si beve del buon porto (come nella canzone : “mia mamma è l’anarchia, mio papà un bicchiere di porto”). Viktor Tsoy nei suoi testi ci regala anche aforismi memorabili come “la morte ha valore per vivere, l’amore ha valore per aspettare“.

Tsoy

Celeberrima è la canzone Последний герой, “Poslednij geroy”, “L’Ultimo eroe“, che oltre ad essere un tormentone parecchio orecchiabile, ha parole del tipo che cercavo di spiegare. “La notte è corta, la meta è lontana, la notte spesso si ha sete/ tu esci in cucina ma l’acqua qui è amara, non vuoi dormire qui, tu non vuoi vivere qui/ buongiorno, ultimo eroe/ buongiorno a te e a quelli come te/ buongiorno, ultimo eroe/ salve, ultimo eroe./ Tu vorresti stare da solo, questo è passato subito/ tu vorresti essere da solo ma non hai potuto esserlo/ il tuo fardello è leggero/ ma la mano è intorpidita/ e incontri l’alba giocando a carte/ …al mattino cerchi di uscire in fretta/ la chiamata al telefono è come un ordine “avanti!”/ tu vai dove non vuoi andare/ tu ci vai, ma laggiù nessuno ti aspetta“. L’ultimo eroe dunque è quello che sopporta il peso di una vita insoddisfacente, dove l’acqua è troppo amara, dove il luogo in cui si vive è misero e opprimente, dove il lavoro è meccanico e non si riesce neppure a stare soli.

Un’altra tematica ricorrente nelle canzoni dei Kino è la guerra. La canzone Группа крови “Gruppa krovi”, “Gruppo sanguigno“, dice: “gruppo sanguigno sulla manica, il mio numero d’ordine sulla manica, augurami buona fortuna in battaglia, augurami di non restare su quest’erba…“, ma senz’altro la canzone che ha avuto maggior successo è la bellissima Звезда по имени солнце, “Zvezda po imeni solntse”, “Una stella di nome sole“, dai toni poetici. Il protagonista, come si evince dal titolo, è l’astro infuocato, che governa e illumina il pianeta. E’illustrato in modo efficace, quasi come fosse un dipinto, anzi una panoramica satellitare, il mondo in cui viviamo, partendo dalla neve bianca e dal ghiaccio grigio, alla “terra screpolata” coperta da una “trapunta patchwork”,alla “trama delle strade”, salendo al cielo dove “nuotano le nuvole”, arrivando al “fumo giallo sopra la città, che ha 2.000 anni”, e vive “sotto la luce di una stella di nome Sole”. “2000 anni di guerra, di guerra senza una causa specifica, la guerra, un affare giovane, una medicina contro le rughe. Sangue rosso, rosso/ tra un’ora sarà semplicemente terra/ tra due su di lei ci saranno fiori ed erba/ tra tre sarà di nuovo viva/ e scaldata dai raggi di una stella di nome Sole./ E sappiamo che è sempre stato così/che il destino è stato sempre amato di più / chi vive sotto le leggi di altri/ e per chi morire giovani/ Lui non ricorda la parola sì e la parola no/ non ricorda gradi né nomi/ ed è in grado di toccare le stelle/ non credendo che questo sia un sogno/e cadere bruciato da una stella di nome Sole.” Molto belle in questa canzone sono certe espressioni come “la guerra, una medicina contro le rughe”, ma anche l’idea delle incomprensibili leggi “altrui” che governano il mondo, e l’amara constatazione che è sempre stato così e continuerà ad esserlo: le guerre incessanti, l’idea del destino che è più forte di tutto, gli ideali per cui si muore giovani, e del sangue sopra cui nascerà nuova terra. Nel finale abbiamo una sorta di Icaro, un eroe contemporaneo che cerca di andare oltre a tutto, che aspira a toccare il Sole e cadrà bruciando in una stella cadente.

La visione del Sole di Viktor è religiosa, quasi mistica, ma l’aspetto interessante è che, se nell’immaginario classico il Sole è energia positiva che infonde gioia, per Tsoy è un astro potente ma terribile, accostabile a Dio e dunque imperscrutabile. Il Sole fa da sfondo a pensieri generali sull’umanità, come accade nella celeberrima poesia di Montale, ma per quest’ultimo l’inclinazione è esistenzialista, individualista: “e andando nel sole che abbaglia/ sentire con triste meraviglia/ com’è tutta la vita e il suo travaglio/ in questo seguitare una muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia“.

Quando capita, passeggiando per le vie di Mosca, di sentir cantare “Una stella di nome Sole” fuori dal metrò da qualche musicista di strada, o strimpellare nei sottopassaggi con una chitarra e un piccolo amplificatore, dà sempre una sensazione senza tempo di appartenenza, di comunanza. Come se tutto fosse legato, se quello che canta fosse accostabile ad ogni epoca e ogni persona. Qualcosa nella voce di Viktor, nei motivi leggeri e crudi delle sue canzoni, nelle sue parole forti perché vere e quotidiane, lo rende un cantautore la cui fama dovrebbe essere internazionale, e non solo legata all’ex Unione Sovietica.

Tsoy 2

Una risposta a “Viktor Tsoy e i Kino: un gruppo sottovalutato fuori dalla Russia”

  1. Sono perfettamente d’accordo! Grande musica, grande cantante… me li godo su Radio diskoteka CCCp, quando li passano

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