L’idealismo sovietico in una canzone popolare

Le canzoni popolari di epoca sovietica agli occhi degli occidentali suonano talvolta buffe, senz’altro obsolete, eppure lo spirito di gruppo, l’allegria che suscitano ha qualcosa che mette malinconia, perché sappiamo che non potrà mai più ripetersi. Ricordano le canzoni italiane della prima guerra mondiale, le marce e le mazurche, e spesso hanno- ahimè- un ritmo e spirito propagandistico simile a quello delle nostre canzonette fasciste, ma il suono della fisarmonica e la voce solenne e corale che le contraddistingue le rendono uniche. I contenuti descrivono quasi sempre la natura, la patria, il lavoro di gruppo, e seppure abbiano un ritmo allegro  contengono sempre elementi che infondono una certa, immancabile tristezza. Ne analizzerò e tradurrò alcune che mi sono particolarmente care perché mi ricordano grandi eventi a cui ho partecipato, luoghi in cui ho vissuto, popoli che ricordavano e celebravano la loro storia con un rispetto e un orgoglio che noi italiani non avremmo mai.

Questa è la volta di una canzone storica che rappresenta un periodo ben specifico della storia russa, e particolarmente felice: “Едут новоселы”, “Edut novosely”, ovvero “Vanno i coloni” è una canzone degli anni 50 di Evgenij Rodygin che celebra la campagna di bonifica delle terre vergini, sotto Nikita Kruschev. Si tratta di un periodo pieno di idealismo, in cui la propaganda sovietica spingeva gruppi di migliaia di persone dalla Russia centrale ad inoltrarsi per le steppe della Siberia e del Kazakistan settentrionale per conquistare e bonificare gli immensi territori ancora vergini. Era celebrato e incentivato il duro lavoro di squadra ma anche il romanticismo della libertà dopo il regime staliniano. E’ un’epoca che vede la costruzione di nuovi luoghi di scambio culturale, di scuole, di fioritura della letteratura e del cinema sovietico. Nella canzone si saluta la terra vergine (in russo: целина), l’ampio spazio, la lunga strada da percorrere in un gelido inverno, sotto un cielo di stelle nitide (espressione difficile da tradurre in tutta la sua bellezza e che in russo è detta in un elegante, unico aggettivo riferito alla notte: яснозвездная, yasnozvezdnaya, letteralmente “nitido-stellata”), ma la domanda del colono è una sola: rivedrà mai la sua amata ai confini della steppa? La attende in primavera, con un clima più mite, a diventare la padrona di una nuova casa, e allora potranno condurre il trattore insieme. Tutto questo oggi fa piuttosto sorridere, ma se pensiamo all’epoca possiamo capire l’entusiasmo, la speranza e la tenacia che dovevano necessariamente avere i colonizzatori per spingersi così lontano in una marcia faticosa in condizioni climatiche disastrose, e la “favola bella” da cui si facevano illudere per non perdersi d’animo. Si potrebbe riassumere quello spirito in una parola: la grandezza, perché un impero tanto esteso a livello territoriale s’era visto solo ai tempi di Alessandro Magno. La vastità dell’allucinazione collettiva sovietica andava dalla lotta occidentale sull’asfalto di Mosca alla sabbia della via della Seta fino al miraggio dell’estremo oriente per abbracciare la terra dall’altra parte, tornando al punto di partenza. Di canzoni sognanti, di ideali lontani nello spazio e nel tempo lo spirito russo si nutriva per sopportare la miseria e le ombre implicate in un obiettivo tanto ambizioso. La miseria era venduta come meraviglia, uno straccio brillava più dell’oro agli occhi di chi credeva davvero in quel progetto, ogni altra cosa perdeva di senso, e persino lavorare fino a non reggersi più sulle gambe era un evento lieto. Ed è qui che la Russia dell’epoca commuove, quando si guarda la sua gente negli occhi, quando si chiudono i propri e la si ascolta cantare. Commuove perché è capace di credere. Perché forse mai nessuno ha creduto tanto quanto il popolo russo, servo che credeva d’esser sovrano, devoto che credeva d’esser laico, singolo che credeva d’essere una moltitudine.

Lascio parlare la canzone (la traduzione è mia), e riporto sotto alcuni dipinti d’epoca esposti alla mostra del museo statale di Omsk (eseguiti intorno agli anni 60 da diversi pittori).

ЕДУТ НОВОСЕЛЫ                                                        VANNO I COLONI

Родины просторы, горы и долины,                        Spazi nativi, montagne e colline
В серебро одетый зимний лес грустит.      Il triste bosco invernale vestito d’argento
Едут новоселы по земле целинной,             Vanno i coloni per la terra vergine
Песня молодая далеко летит.                        Vola lontano una giovane canzone.

Ой ты, зима морозная,                                          Ah tu, inverno gelido,
Ноченька яснозвездная!                                         Notte di stelle nitide!
Скоро ли я увижу                                                       Rivedrò presto
Мою любимую в степном краю?                    la mia amata al bordo della steppa?
Вьется дорога длинная,                                         la lunga strada si snoda,
Здравствуй, земля целинная,                                    Ciao, terra vergine,
Здравствуй, простор широкий,                                 Ciao, ampia distesa,
Весну и молодость встречай свою!               Incontra la tua primavera e giovinezza!

Заметут метели, затрещат морозы,   Le bufere di neve spazzano, scricchiolano i ghiacci
Но друзей целинных нелегко сломить.    ma non è facile vincere gli amici delle vergini
На полях бескрайних вырастут совхозы, nei campi sconfinati crescono imprese agricole
Только без тебя немножко грустно будет жить/Solo senza di te sarà un pò triste vivere.

Ты ко мне приедешь раннею весною     Tu verrai da me in primavera appena sbocciata
Молодой хозяйкой прямо в новый дом.         Giovane padrona in una nuova casa
С голубым рассветом тучной целиною    Con l’alba azzurra della pingue terra vergine
Трактора мы вместе рядом поведем.                    Insieme guideremo il trattore.

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