Cosa resta dell’Unione Sovietica

Si può ancora parlare di Unione Sovietica oggi per caratterizzare lo spirito russo? A oltre 20 anni dal crollo dell’URSS, dove troviamo ancora tracce degli oltre 60 anni di regime? 

Partiamo dal livello estetico: il forte contrasto tra la fatiscenza di certi luoghi russi (come gli ospedali, i mezzi pubblici, le vecchie auto sovietiche, gli androni delle case) e il lusso sfrenato di altri (ristoranti e locali alla moda, Limousine e Bentley ecc.) è uno tra i risultati più evidenti del boom capitalistico dopo il comunismo: il trash post-sovietico, insomma.

I rimasugli fisici dell’Unione Sovietica, come cocci di un passato pesante, lungo e per certi versi mai del tutto sepolto, permangono nei busti di Lenin che ogni brava piazza delle cittadine ex sovietiche reca al centro. Al Muzeon di Mosca, museo a cielo aperto di fronte a Gorkij Park, giacciono nell’erba le statue abbandonate di Lenin, Stalin, di stemmi ed effigi del CCCP.

In alcuni luoghi di Mosca sembra di essere tornati indietro di 30, 40 anni. Tra questi, l’ippodromo, dove vecchi signori con la coppola e gli occhiali a fondo di bottiglia puntano sui cavalli con il taccuino, e l’università Lomonosov (MGU). Edificio imponente di stampo stalinista, torri altissime con falce e martello in cima, unisce la solennità e la grandezza dei suoi atri alla desolazione sovietica delle stanze del suo dormitorio, l’obshezhite: lenzuola marchiate come al militare, letti corti, strati di polvere più alti della neve.

Queste però sono considerazioni puramente superficiali. Cos’è rimasto dell’URSS a livello più profondo?

Il dato più evidente di quei tempi era la totale mancanza di libertà individuale, della possibilità di esprimere il proprio dissenso e di aprirsi all’Occidente. La musica e la letteratura erano particolarmente tenuti d’occhio e bersagliate dal regime, ed ecco comparire la “musica sulle ossa”, музыка на костях (muzyka na kostyakh), ovvero i CD occidentali registrati sottobanco sulle lastre mediche, che si comportavano in modo molto simile al vinile; ecco il ritorno alla copia a mano dei manoscritti proibiti, per diffonderli e non perderli durante la “biblioclastia sovietica”.

Durante l’Unione Sovietica c’erano molti tabù. Il perfetto uomo “po komsomolski” (in stile Komsomol’, l’unione comunista della gioventù dell’URSS) doveva essere ligio al regime, amare una sola donna, non bere, usare solo prodotti interni all’Unione Sovietica. Lo spirito sovietico perfettamente descritto si può trovare nelle opere di Sergey Dovlatov, diventato un classico. Lo scrittore non è mai stato pubblicato in Russia durante il regime, dunque è emigrato in America, dove le sue opere, tra cui La valigia la più nota, hanno finalmente visto la luce. Dai suoi racconti, sempre realistici, ironici, pungenti, con uno squisito humour ebraico, emergono tre caratteristiche salienti dei russi di epoca sovietica:

1.La fratellanza e l’ospitalità

Se c’era qualcosa che non mancava mai in epoca sovietica, era la fratellanza e la solidarietà tra “compagni”. Alle tre di notte vaghi per strada perché tua moglie ti ha sbattuto fuori? Vieni pure da me. C’era sempre un amico da chiamare, pronto ad ospitarti e darti the caldo e qualcosa da mangiare. Questo spirito di ospitalità e amicizia è rimasto tale nella cultura russa e si riscontra a vari livelli. La russkaja dusha (anima russa) è proprio questa, un involucro apparentemente chiuso e impenetrabile ma che, con un po’ di confidenza, rivela una generosità e un’ospitalità invidiabile, pari solo a quella dei nostri italiani del Sud.

2. Niente soldi, molto alcool

Durante l’Unione Sovietica mancava quasi tutto, i soldi in primis. I personaggi di Dovlatov (lui stesso, sempre al centro dei suoi racconti) vagano sempre con due rubli in tasca, che puntualmente finiscono, ma il modo di bere una riumka (bicchierino d’alcool) lo si trova sempre. Eppure, l’alcol era uno dei tabù più proibiti dall’Unione, divenuto per reazione una vera e propria piaga sociale. Mi raccontava un ingegnere italiano che ai tempi di Brezhnev, quando i russi andavano in trasferta, era consuetudine ordinare per loro un aereo con il doppio dei posti, perché al ritorno erano talmente ubriachi da doversi stendere su due, tre sedili ed essere prelevati dall’aereo a braccio.

Oggi l’alcol in Russia è rimasto un bene di larghissimo consumo, ma con meno vigore e disperazione rispetto alle generazioni precedenti. Certo, più si va nelle province, più se ne fa uso. Così, la classica domenica di un’allegra famiglia ucraina prevede tuta da ginnastica, infinita preparazione del borsh innaffiata da litri di vino rosso dolce, da mezzogiorno alle nove di sera. E vai.

3. Il mito dei prodotti occidentali

In Dovlatov spesso si sente parlare di calze finlandesi, giacche francesi e via dicendo, commerciate di contrabbando dai cosiddetti фарцовщики, farzòvshiki, contrabbandieri di prodotti importati. L’origine della parola è buffa: deriverebbe da “for sale“, con cui gli stranieri apostrofavano i russi per vendere loro la merce occidentale, ma dato che i russi non capivano nulla di inglese, la parola fu storpiata in “forsà”, “forzà”, “farzà” e loro divennero i фарцовшики, farzovshiki.

Poiché tutta la merce occidentale era considerata diabolica e strettamente proibita, chi la indossava diveniva un vero e proprio trend setter: profumi francesi, orologi, stivaletti dalla Jugoslavia, ogni oggetto importato era di culto. Chi li commerciava in contrabbando rischiava pene molto severe, eppure l’attività era inarrestabile.

Ancora oggi quell’attrazione irresistibile per l’occidente, la moda, le griffe è evidente: se i russi amano quel gusto trash che fa tanto sorridere, nell’abbigliamento poco sobrio come nell’ostentazione di macchine di lusso e quant’altro, è perché per anni i prodotti occidentali  sono stati loro preclusi.

Credo che provare nostalgia per un periodo così restrittivo sia prerogativa dei ceti sociali molto bassi o dei nostalgici incalliti (veterani di guerra, babushki agli angoli delle strade che vendono carote dell’orto, e così via). Chiaramente a quei tempi erano più tutelati, la sanità e l’istruzione erano gratuiti, tutti avevano un minimo stipendio garantito dallo stato, lamentano. Per il resto, chi oggi sta bene economicamente non penso possa desiderare di tornare indietro, se non a livello puramente formale. Eppure, un tocco di malinconia si coglie sempre nei racconti risalenti a quei tempi: il padre diplomatico che riusciva a portare a casa ai figli le rarissime tute dell’Adidas prese ai negozi di merce importata, Березка, Berezka, proibiti ai russi e riservati solo a chi possedeva i preziosissimi coupon; il desiderio di avere i pattini, che non si trovavano da nessuna parte, e quando finalmente comparivano, ne si prendevano 3, 4 paia anche di numeri più grandi, alla peggio li si poteva vendere a qualcun altro; il primo walkman, tanto agognato, ma che poi, sfoggiato nella metropolitana di Leningrado, faceva provare vergogna di fronte a tutti gli altri che leggevano libri; i cuscini messi sui telefoni anche quando non erano in funzione, per bere il the in salotto con gli amici, per paura che li ascoltassero parlar male del regime…

Gli occhi dell’insegnante di russo, quando ci diceva: “ai tempi dell’Unione Sovietica…” si velavano sempre di una dolce, sottile tristezza di un mondo immenso, amato e odiato, perduto. L’Unione Sovietica manca a chi l’ha vissuta, indubbiamente, ma per il solo fatto d’appartenere al passato, mischiata ai ricordi, alla trasgressione. Manca come il pupazzetto brutto di quando eravamo piccoli, con il pelo ormai ridotto a un ammasso grigio di ruvida lana; come i portachiavi rubati dai negozi, per le quali si prendevano poi le botte dai genitori, come il vecchio divano scalcinato del primo appartamento; manca come la semplicità, il desiderio, la gioventù.

Un particolare ringraziamento ai miei amici russi (Natasha, Jura, Irina, Tata, Stas) per aver condiviso alcuni loro ricordi.auto-soviet autobus babuski ippodromo lenin lenin-2 limo look-sobrio marinai matrimonio parco-giochi sanita tacchi taxista-2 taxisti-1 treno ucraina

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5 Risposte a “Cosa resta dell’Unione Sovietica”

  1. Ciao Valentina! Articolo davvero molto interessante e profondo, ti ringrazio di cuore! Ogni volta che si parla dell’Unione Sovietica, riscontro anch’io la stessa velata malinconia tra i miei amici russi, soprattutto tra quelli non più giovanissimi. Sarei lieta di approfondire l’argomento con l’aiuto di qualche libro o film. Hai qualche suggerimento da darmi? Grazie ancora e a presto!

    1. Cara Rossella, grazie mille per il tuo commento all’articolo. Come film sovietici ti consiglio Бриллянтовая рука, Москва слезам не верит, Брат, Жмурки. Li trovi tutti gratis su Vkontakte. Interessanti sono anche i mini documentari Хроники московского быта. Come libri ti consiglio quelli di Sergej Dovlatov: “La valigia”, Чемодан, e “La vita è breve”, Жизнь коротка, descrivono alla perfezione e con molto umorismo lo spirito sovietico. Spero di esserti stata d’aiuto! Grazie ancora. Valentina

      1. Ciao Valentina, grazie mille della veloce risposta! Esistono che tu sappia film e libri che trattano proprio il tema della nostalgia per la CCCP? Non so se c’è una parola russa per definirla… In tedesco esiste il neologismo “Ostalgie”, descritto benissimo nel film “Good bye, Lenin!”.

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