Medicina e pittura, un connubio affascinante

Un tema molto interessante è il rapporto tra medicina e arte nelle varie epoche e culture. L’intreccio tra letteratura medica e medicina in letteratura o tra medicina e pittura sono testimonianze che permettono non soltanto di determinare quali malattie colpissero i nostri antenati, ma anche di inserire le patologie all’interno di un quadro più suggestivo e nobile, conferendo l’eterno sigillo dell’arte a ciò che, apparentemente, non ne sarebbe degno.

Ad esempio, nelle opere del pittore e accademico russo Karl Brjullov, nato a Pietroburgo a metà dell’Ottocento e morto in Italia, si può cogliere la malattia dell’artista. Egli infatti morì relativamente giovane, a 52 anni, per problemi cardiaci. Osservando il suo autoritratto in cui appare sofferente e reclinato si può evincere la sua malattia, soprattutto dal pallore grigiastro della carnagione; è possibile addirittura ipotizzare un’endocardite, infezione alle valvole del cuore piuttosto diffusa ai tempi.

Nel ritratto eseguito dal famoso pittore Surikov “Persona con mano dolorante” si vede un uomo di una certa età con la mano sinistra arrossata e gonfia. La causa potrebbe essere una frattura o lussazione oppure semplice artrosi. Il pittore deliberatamente aveva cercato una persona con un arto malato per ritrarne la sofferenza.

Celebre è anche il dipinto del pittore Kramskoj che ritrae il poeta Nekrasov sul letto di malattia nei suoi ultimi giorni di vita.

Avevo inoltre già parlato del ritratto eseguito dal grande pittore ucraino Repin del compositore russo Musorgskij poco prima che morisse. Nel dipinto la morte e la malattia sono percepibili da molti dettagli, si può dire che trasudino dalla tela: l’aspetto gonfio, arrossato, sudato e sofferente, gli occhi vitrei, luci e assenti dell’artista testimoniano uno stato di salute gravemente compromesso. Avevo azzardato che mai nessuno sia riuscito a dipingere con tanta maestria l’immagine della pre-morte, del morituro, di un futuro prossimo che sta per divenire eternità.

Le cose si fanno però più interessanti quando le patologie non sono l’oggetto dichiarato del ritratto, ma si possono cogliere e diagnosticare osservandone i dettagli. Celebre è l’evidenza del gozzo tiroideo e dell’esoftalmo, ad indicare ipertiroidismo e carenza di iodio, tipico della popolazione medievale. Nei disegni di Leonardo, nei dipinti di Caravaggio e Piero della Francesca possiamo osservare molti soggetti affetti da gozzo, ovvero da un ingrossamento a livello del collo. Osserviamo ad esempio il disegno di Leonardo di una donna affetta da esoftalmo e gozzo, che risiede al Louvre. Un lieve gozzo si può riscontrare anche in un dipinto di Botticelli, nel collo della bella Simonetta. Anche nella celebre Resurrezione di Piero della Francesca il soldato seduto al centro del dipinto, il quale si ritiene sia l’autoritratto del pittore, presenta un pronunciato gozzo tiroideo.


Infine è proprio il gozzo a rappresentare un elemento forse decisivo per l’attribuzione di un dipinto, ritrovato recentemente a Tolosa, al Caravaggio. Sto parlando della Giuditta che taglia la testa a Oloferne, su cui gli studiosi si dividono. C’è chi, tra cui l’emerito endocrinologo e studioso Pozzilli, come prova del fatto che il quadro sia stato dipinto da Michelangelo Merisi, adduce proprio il pronunciato e bitorzoluto gozzo multinodulare della donna anziana accanto a Giuditta. Il Caravaggio era infatti un profondo conoscitore di questa patologia tiroidea, ritratta in almeno 5 dei suoi dipinti, tra cui la Crocifissione di Sant’Andrea (l’uomo a sinistra del Cristo). Che dire? La teoria di Pozzilli è affascinante e ancora di più il suo libro “L’arte nella medicina e la medicina nell’arte” .

Così, le patologie che colpiscono gli esseri umani sin dalla loro comparsa sulla terra possono diventare oggetto di uno studio singolare che parte dall’immagine, dalla casistica ritratta in pittura così come in letteratura, per giungere ad un’ipotesi di diagnosi ma anche, trasversalmente, che può farci sentire più affini a quei misteriosi soggetti resi immortali dall’arte. Ché se anche i poeti, i santi e gli eroi soffrivano di ipertiroidismo ed erano degni di una raffigurazione che evidenziasse il loro gozzo, allora la malattia non diviene più qualcosa di vergognoso, indegno e da nascondere, ma una semplice e normale manifestazione della varietà ed evoluzione del corpo umano.