Svidrigajlov, il topo del sottosuolo

Al Teatro Franco Parenti di Milano offre a tutti i fan di Dostoevskij un’occasione imperdibile. Il progetto Prospettiva Dostoevskij (29 novembre- 19 marzo) consiste nella messa in scena di 3 pièce tratte dalle opere del grande scrittore. La prima riguarda il personaggio di Svidrigajlov in Delitto e Castigo, la seconda Ivan Karamazov e la terza prevede la messa in scena di tutta l’opera Delitto e Castigo (a marzo).

Sono stata a vedere il primo spettacolo intitolato  Il topo del sottosuolo (dal 29 novembre al 4 dicembre) e sono rimasta veramente colpita. Innanzitutto, l’ambientazione ricreata a teatro era davvero perfetta: una piccola sala con le luci soffuse, l’aria soffocante e fumosa, candele e bicchieri di vino, ricreava l’atmosfera delle taverne pietroburghesi dostoevskijane. Si stava seduti ai tavolini, come in un bar appunto, e nel tavolo centrale l’attore recitava parlando direttamente al pubblico, senza barriere. Questa trovata ha annullato la distanza catartica data dal palco, il gap spettatore-attore, permettendo un’immersione totale nel monologo del personaggio e confondendo il piano realtà-finzione. L’interazione era data anche dalla geniale interpretazione dell’attore, Mino Manni, con il suo sguardo penetrante e diretto e le sue domande costanti che coinvolgevano il pubblico. Una recitazione intensa, disturbante, drammatica ma per certi versi anche ironica.

L’adattamento di Mino Manni e Alberto Oliva del personaggio di Svidrigajlov è stato altrettanto all’altezza: modificando per esigenze pratiche alcuni aspetti e dettagli rispetto all’opera originale, sono riusciti però a mantenerne l’efficacia, ad approfondire persino alcuni aspetti psicologici del personaggio dando un tocco personale. In Delitto e Castigo, Svidrigajlov è intrecciato alle vicende degli altri personaggi, è colui che sa dell’omicidio di Raskol’nikov e che cerca di scambiare con l’amore della sorella Dunja, di cui è ostinatamente innamorato, il suo silenzio. Qui, al contrario, è stato privato volutamente del contesto narrativo per isolarlo in un monologo affascinante e godibile al di là del romanzo.

Personaggio sottovalutato e minore di Delitto e Castigo, Svidrigajlov meriterebbe più attenzione, poiché in lui c’è tutto l’animo dark dostoevskiano, tormentato e perduto, che si ritrova, ad esempio, nei Demoni. Svidrigajlov è un demone lussurioso, la cui intera esistenza è stata rivolta al piacere e alla depravazione. E’un Don Giovanni senza alcuna coscienza, un seduttore e traditore che ha sposato una donna più anziana di lui, Marfa Petrovna, al solo scopo d’esser mantenuto, e che l’ha condotta alla follia e alla morte (ereditandone tutte le ricchezze) per essersi invaghito perdutamente, non corrisposto, di Dunja, la cameriera. Nella sua confessione da ubriaco (che nel romanzo fa a Raskol’nikov, e nella pièce ha fatto a tutti noi), emerge la sua visione del mondo cinica, viziosa e disperata, non senza picchi di sagacia. Svidrigajlov non si occupa sostanzialmente di nulla, nella sua vita scellerata, se non di sedurre le donne. “Perché dovrei lasciar perdere le donne, visto che almeno loro mi piacciono? Perlomeno questa è un’occupazione”. La sua unica occupazione, dunque, è la depravazione (разврат), di cui fa un’interessante apologia: “В этом разврате, по крайней мере, есть нечто постоянное, основанное даже..”, ovvero: “Se non altro nella depravazione c’è qualcosa di permanente, che si fonda persino sulla natura, e che non è soggetto alla fantasia, una scintilla sempre accesa che sta nel sangue, che arde perennemente…”.

Con tono sfacciato e beffardo, egli racconta di aver sedotto donne sposate e pudiche tramite un’arma infallibile: l’adulazione (лесть). “Нет ничего в мире труднее прямодушия, и нет ничего легче лести”, afferma, ovvero: “Al mondo non c’è nulla di più difficile della franchezza, e di più facile dell’adulazione. Se nella franchezza c’è anche solo un centesimo di falsità, si verifica subito una dissonanza, alla quale segue uno scandalo. Se nell’adulazione tutto, fino all’ultima nota, è falso, anche allora essa risulta gradita e sempre la si ascolta con piacere, si tratti pure di un piacere grossolano, ma sempre di piacere si tratta. E per quanto l’adulazione sia rozza, in essa, immancabilmente, almeno la metà viene creduta”. Non solo egli seduce le donne con quest’arma, ma si fa beffe del loro acume, facendo loro persino credere, alla fine di tutto, di esser rimaste caste, di avergli ceduto in modo del tutto… casuale. Ugualmente, un altro escamotage con cui quasi tutte le fanciulle capitolano è quello di puntare sulla pietà, laddove si sentono chiamate in causa a redimere, salvare un’anima perduta e infelice (la famosa sindrome della crocerossina). In queste affermazioni la prosa di Dostoevskij è quanto mai attuale. Dal gioco di seduzione e corruzione nessuno è esente e anche oggi vigono le stesse, universali leggi.

Gli autori hanno deciso di concludere il monologo in modo forte ma elegante, meno drammatico del romanzo: Svidrigajlov gioca alla roulette russa con la rivoltella che ha nella tasca della giacca, se la punta alla tempia e fa partire un colpo che sembra andare a vuoto (o l’avrà ucciso davvero e quello che ora si muove è già il suo fantasma, la proiezione del suo inconscio?); ride con aria si sfida e abbandona la taverna. Nel romanzo, invece, si suicida davvero. Questo lo accomuna  a Kirillov, anche se i motivi del suo suicidio non sono ideologici, ma pratici: si toglie la vita dopo che Dunja ha tentato, senza riuscirvi, di ucciderlo, respingendolo e ripudiandolo definitivamente. Così Svidrigajlov, in fondo, è l’ultimo dei romantici, perseguitato, nei suoi delirium tremens, dalle visioni del fantasma della moglie defunta e dall’amore non corrisposto per Dunja. Non è il futuro matrimonio con una giovane tedesca la soluzione, l’ennesimo turbine di piacere e vuotezza non potrebbe, ormai, più soddisfarlo, ora che si è ritrovato faccia a faccia con la sua frustrazione, l’inappagamento dell’unico, vero desiderio che in cuor suo anche un depravato come lui ricerca: l’amore puro. Forse l’unica pecca della pièce è quella di non aver reso la drammaticità di Svidrigajlov a pieno, a costo di risultare insostenibilmente pesanti. All’alba, mentre una “nebbia lattiginosa” avvolge Pietroburgo, egli cammina lungo la Malaya Neva, cerca un luogo adatto e un testimone; li trova nell’edificio della torre di guardia e in un ometto con in testa un elmo di rame che ricorda quello di Achille. Saluta lo sconosciuto e dice: “me ne vado all’estero… in America”, poi preme il grilletto e si spara nella tempia destra. Il “topo del sottosuolo” è così un nichilista romantico, un sognatore fallito. La sua è la vuotezza di una vita dissoluta dove non c’è Dio ma la purezza seduce ed incanta come un miraggio, un richiamo impossibile da soddisfare, giacché un topo non potrà mai trasformarsi in un principe, e questa contraddizione tra natura e desiderio, tra desiderio conscio e represso, genera una frattura insanabile, la cui unica cura è la morte. E’la parabola di perdizione di un uomo cui Male è totalmente interiore, di uno Stavrogin ripiegato su se stesso, un vizioso il cui unico cenno di pentimento è il suicidio. E qui di nuovo si vede il castigo dopo il delitto di Dostoevskij, laddove sono pochi, nelle opere dell’autore, i personaggi che restano impuniti.

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