Un dono rosso

Krasnodar in russo significa “dono rosso” o “dono bello”. Il termine “krasnij”, rosso, anticamente significava “bello”- e da qui l’attuale termine per bello, cioè “krasivij”. In effetti, al di là delle implicazioni politiche che si possano dare al colore rosso (e che forse hanno determinato il cambiamento di nome alla città negli anni Venti) trovo che il parallelo nella lingua russa tra “rosso” e “bello” sia davvero azzeccato. Le tinte rosse, in tutte le loro gradazioni, sono sempre quelle che catturano di più lo sguardo, che intrigano e seducono, nel bene e nel male. Rossa è la mela del peccato, tremendamente invitante, rosso è il sangue che è la base della vita del corpo, rosse sono le labbra seducenti delle donne, rossa è la cera lacca delle promesse, le carte regalo, i rubini. Il rosso è vitale, drammatico, intenso, violento, in una parola è bello- in un senso non alla Kant, di bello come qualcosa che non dà emozioni e che non ha concetto, ma nel senso più contemporaneo di struggentemente bello, bello da morire, bello da uccidere, bello da desiderare. E’ il bello, appunto, russo, pregno di quello spirito.
Krasnodar non è particolarmente bella, ma la sua bellezza sicuramente appartiene al concetto di “rosso”. Krasnodar è una città russa assai conforme all’immagine preesistente nei miei stereotipi. Ricorda anche le città ucraine. Ha tipiche case dal tetto spiovente e mi ha accolto ricoperta di neve. L’ho vista dai vetri dei finestrini dei taxi, mentre io sfuggivo a lei, o lei a me, e sono riuscita a fermare qualche immagine della sua bellezza rossa. La bellezza di una piazza del centro piuttosto grande, bianca e nera, striata di alberi e neve, come un corallo; del ghiaccio per le strade che ti fa quasi cadere a terra; la desolazione industriale dei suoi dintorni (perché il centro finisce quasi subito, e cominciano le case di legno, le fabbriche che sbuffano fumo, le macchine spente e congelate sotto i portoni, costellate di stalattiti) è quasi bella, in un senso drammatico, deprimente, terribile, violentemente privo di senso e senza alcuna redenzione. Questo è l’inverno russo che cercavo, che a Sochi non ho trovato e non troverò mai. Quello squallore e grigiore bianco delle strade sporche di cumuli di neve, ghiaccio e fango è “rosso”; quell’aria gelida che ti si getta nelle narici come una cascata di fatalità è decisamente “rossa”.
Lascio parlare le fotografie di una Krasnodar che ho cercato di riempire non solo di rosso, ma di tutti i colori che mi ha suscitato nell’immaginazione.