Sanremo e Ciao 2020 tra Italia e Russia

Il festival di Sanremo non è da sempre stato soltanto il più celebre festival della musica in Italia, ma anche un’istituzione in Russia. Negli anni dell’Unione Sovietica, in particolare gli anni ’80, tutta la Russia ha cantato con grande entusiasmo le canzoni italiane dell’epoca e seguito assiduamente i nostri Sanremo. E’noto a tutti l’amore dei russi per Toto Cutugno, Celentano, Albano e i Ricchi e Poveri. Le loro canzoni venivano trasmesse durante l’Unione Sovietica e sono divenute un cult, tant’è che alcuni di questi artisti oggi devono proprio alla Russia una consistente parte dei loro guadagni e ingaggi. Con questo spirito e questa nostalgia per quella che loro chiamano “italyanskaya estrada” il conduttore televisivo Ivan Urgant ha realizzato, assieme ad altri artisti russi, il famoso show di Capodanno “Ciao 2020”, diventato già un cult sia in Russia che, in parte, in Italia- un omaggio nostalgico, comico e trash proprio alle canzoni italiane pop dell’epoca. La cosa geniale è che lo show è stato interamente girato in un italiano maccheronico parlato da uno staff esclusivamente russo e ogni canzone dello show (canzoni pop russe realmente esistenti) è stata riarrangiata, tradotta e cantata in italiano. Nello show ci sono molti momenti volutamente comici, di una comicità spicciola e trash, molti giochi di parole che solo i russi possono capire, dati dalla pronuncia e l’accostamento di alcune parole in italiano (che vanno a creare, in russo, doppi sensi imbarazzanti, allusioni sessuali e quant’altro). I riferimenti a ciò che va di moda in Russia, a fatti di cronaca recenti, a cose squisitamente russe sono innumerevoli, perciò “Ciao 2020” resta uno show realizzato esclusivamente dai russi e per i russi, tuttavia penso che qualunque italiano possa divertirsi a guardarlo, non fosse altro che per l’esilarante accento russo dei conduttori.

Soltanto i russi avrebbero potuto realizzare uno show del genere. L’opposto sarebbe impensabile: immaginate Amadeus e Fiorello che parlano per un’ora intera in russo, leggendo un gobbo ovviamente, e i nostri artisti italiani in gara che cantano le loro canzoni tradotte in russo. L’effetto sarebbe esilarante, ma in primo luogo di difficile realizzazione, data l’estrema difficoltà stessa della lingua russa- soprattutto per chi non la conosce! In secondo luogo, nessun italiano penserebbe mai di dedicare alla Russia un intero show, perché se la musica italiana dell’epoca è apprezzatissima e nota in Russia, l’opposto invece non si è verificato. La musica russa in Italia è pressoché sconosciuta. Rappresentano eccezioni, ovviamente, i celeberrimi compositori di musica classica dell’Ottocento e dei primi del Novecento e motivi come “Katiusha” (tradotta in Italia come “Fischia il vento”, la famosa canzone dei partigiani, e poi come “Casatchok”, cantata da Dori Ghezzi) e Kalinka e gruppi musicali che hanno fatto scandalo come le Tatu. Sapevate che l’autore del motivo del Tetris (il gioco del Game Boy degli anni ’80) è di un autore russo? Forse no, ma ora lo sapete, e con questo si conclude la notorietà della musica russa in Italia.

Ho provato a dare un’idea di quali gruppi musicali o cantanti siano celebri in Russia nel mio video sul canale YouTube che ho dedicato alla Russia. Lo trovate qui: https://www.youtube.com/watch?v=uTixlUfkzyQ&t=256s

(ho tralasciato gli artisti degli ultimi anni e ignoro totalmente cosa vada di moda tra i giovanissimi russi- essendo io, ahimé, non più tale, e non avendo avuto modo di recarmi in Russia ormai da diversi anni).

Tornando allo show russo “Ciao 2020″, penso che possa essere visto come un omaggio, una parodia, una trovata acchiappa ascolti, ma una cosa è certa: chi si è offeso credo non ne abbia assolutamente colto lo spirito. “Ci hanno deriso, è una rappresentazione degradante e trash dell’Italia”, questo il commento più diffuso. Peccato che- ammettiamolo- i nostri varietà televisivi sono sempre stati, e sono ancora, dello stesso calibro della parodia dello show. La bella conduttrice con generoso décolletè in bella vista, i siparietti pseudo-comici, le canzoni anni ’80… tutto è estremamente fedele alla realtà dei varietà italiani dell’epoca. Mi permetto di aggiungere che il livello dei programmi televisivi degli ultimi 15 anni non si è di certo innalzato (tralascio di menzionare i programmi della D’Urso e trasmissioni come il Grande Fratello, Temptation Island e quant’altro, perché parlano da soli ahimé). Ora le soubrette sono vestite, perché guai a mostrare Letterine e Veline- l’accusa di sessismo è dietro l’angolo. Ormai a Pamela Prati metterebbero gli occhiali a fondo di bottiglia e una palandrana informe e le farebbero fare un monologo sulla sofferenza umana, ma questi patetici tentativi di ridimensionare il trash televisivo italiano non bastano. Il festival di Sanremo negli ultimi anni, lungi da essere meramente una trasmissione musicale, come dovrebbe, è diventato un varietà d’intrattenimento che vorrebbe spaziare dagli sketch comici, ai duetti, ai balli e canti, ai monologhi impegnati, ma che nella pratica, non è ben chiaro come, si riduce a snervante e inutilmente prolungata attesa di ascoltare le canzoni in gara tra un intermezzo pubblicitario e uno sketch mal riuscito. Sicuramente il punto debole più grande è rappresentato dagli autori degli sketch che dovrebbero divertire e intrattenere tra una canzone e l’altra. Il siparietto sul bacio in cui hanno costretto la povera (bravissima attrice e ottima cantante) Matilda De Angelis a bacchettare Amadeus in veste di maestrina è un esempio lampante di uno script mal riuscito. Ogni anno Sanremo propone questo format vecchio e obsoleto, che si protrae fino ad orari notturni francamente impossibili per chi deve alzarsi alle 7 il mattino seguente.

Sulla parte prettamente musicale stendo un velo pietoso. Le canzoni “trash” in stile pop disco anni ’80 di “Ciao 2020″ non sono peggiori di molte proposte a Sanremo quest’anno, che in quanto ad originalità dei testi lasciano molto a desiderare (le parole “volare”, “amore” e “vuoto dentro” non mancano mai), per non parlare delle sonorità degli arrangiamenti e delle melodie, che ormai ricadono sempre nella trita canzonetta leggera tra il pop e il rap, la hit spagnoleggiante o il classico pezzo “Sanremo” (sì, ormai “Sanremo” è un genere musicale a sé, le canzoni sono tutte uguali) – con rare eccezioni rappresentate dal rock genuino dei Maneskin (purtroppo non vinceranno mai), il punk-pop comico-provocatorio de Lo Stato Sociale e l’immancabile quota intellettuale dei pezzi di un Max Gazzè o un Daniele Silvestri.