La guerra in Ucraina come fallimento dell’informazione, tra stereotipi, etichette semplicistiche e profonda ignoranza

La guerra in Ucraina dal punto di vista della comunicazione mediatica occidentale potrebbe riassumersi utilizzando questi termini: disinformazione, propaganda, semplificazioni e stereotipi.

Prima ci si esprimeva a vanvera sul Covid, ora sulla guerra: sventoliamo tutti le bandiere dell’Ucraina sui nostri profili, come quando scrivevamo “je suis Charlie”- in entrambi i casi, prima dei terribili accadimenti, ignoravamo dove fosse l’Ucraina o cosa fosse il Charlie Hebdo.

Il fatto è che, purtroppo, per quanto riguarda il mondo ucraino, russo e russofono, in Europa scarseggiano veramente le informazioni. Molte persone non sapevano, fino al tragico 22 febbraio 2022, neppure collocare l’Ucraina su una carta geografica (si vedano le imbarazzanti interviste ad alcuni politici italiani sull’Ucraina di alcuni anni fa- la collocarono in Russia, in Eurasia, persino in Asia). La guerra nel Donbass è iniziata nel 2014 a seguito della protesta dell’Euromaidan a Kiev, ma, dopo un’iniziale attenzione dei media, non è stata più menzionata. Eppure, sono 8 anni che la guerra civile continua, ogni giorno, nei territori intorno a Donetsk e Lugansk. Il problema è che ci si abitua a qualsiasi cosa, anche alle tragedie, dunque è chiaro che le guerre fanno notizia solo nei primi mesi. Dopo di che, come un film in cui gli eventi si ripetano sempre uguali, divengono, agli occhi di chi le legge dal suo salotto, noiose.

Non è facile trovare sul web opinioni intelligenti riguardo questa guerra, supportate da un’informazione adeguata, né sguardi approfonditi, non superficiali, sulla situazione odierna. Non è facile trovare voci, anche fuori dal coro, che argomentino bene ciò che sostengono. E’davvero difficile, per un italiano che non conosce la cultura e la lingua ucraina o russa, orientarsi e farsi un’opinione che non segua in modo cieco quella dominante sui social network, quella della massa.

Occorre consultare il maggior numero di fonti possibili, anche quelle non ufficiali, anche quelle radicali, minori, parlare con chi quella guerra la sta vivendo da entrambe le parti.

Sento spessissimo parlare di ipocrisia dell’italiano medio, indignato di fronte alle migliaia di civili che stanno soccombendo in Ucraina sotto i bombardamenti di Putin, ma che quando si trattava di donne e bambini afgani non diceva una parola. Sento spessissimo fare paragoni con le varie guerre interventiste americane in Siria o in Afghanistan, le quali non destavano tanta avversione; sento additare polemicamente gli ucraini come profughi di “serie A”, rispetto a quelli siriani ad esempio, in quanto biondi con gli occhi azzurri (più semplicemente, in quanto più vicini culturalmente al nostro mondo). Trovo queste provocazioni di un’ovvietà inutile da sottolineare. Da un lato, è innegabile che una guerra che avviene geograficamente in Europa, non lontano dall’Italia, desti più scalpore, faccia più breccia nell’opinione pubblica- tenendo conto anche della minaccia dell’impiego di armi nucleari o dell’esplosione di centrali nucleari in Ucraina, dell’innalzamento del prezzo della benzina e via dicendo. Altrettanto ovvio è che l'”italiano medio” si senta più coinvolto e colpito nel vedere vittime civili culturalmente più affini a lui- per quanto xenofoba, iniqua e ottusa possa apparire questa reazione. D’altro canto, queste affermazioni non aggiungono nulla a quanto accade, né possono in qualche modo giustificarlo o denigrarlo: l’istintiva diffidenza dell’Europa verso popoli con religioni e costumi diversi, l’influenza propagandistica denigratoria nei confronti del mondo islamico, alimentata dagli episodi di terrorismo e quanto accaduto nel lontano settembre 2001, sono un dato di fatto- che ci piaccia o meno- che in parte può spiegare la minore sensibilità verso gli attacchi ai popoli appartenenti a quei Paesi.

Ci soffermiamo con gran gusto a parlare unicamente della reazione a questa guerra invece che della guerra stessa, delle sue radici, del suo significato storico e sociale. Che la guerra in Ucraina smuova finalmente l’opinione pubblica e la sensibilità degli italiani è, peraltro, innegabilmente un bene, se può aiutare ad inviare aiuti umanitari e ad organizzare una migliore accoglienza dei profughi.

Che si debba necessariamente, come sempre, seguire quello che fa l’America e unirsi ad essa nell’armare l’Ucraina nella sua resistenza all’attacco (invece che limitarsi ad inviare aiuti umanitari) è già qualcosa di meno condivisibile. Che Zelensky sia dipinto unicamente come un eroe è altrettanto opinabile- la difesa e la resistenza dopo un brutale attacco come quello di Putin è legittima e necessaria, lo è meno, a questo punto, il perseverare nel far bombardare città piene di civili a distanza di oltre un mese dall’inizio del conflitto. Ugualmente, sarebbe da indagare con più cognizione di causa l’etichetta di despota impazzito appicciata a Putin. Non mi esprimo neppure sul ridicolo ostracismo verso la Russia cui stiamo assistendo, in particolare quello culturale, come l’annullamento delle lezioni su Dostoevskij o altre ignobili censure. Ognuna di queste opinioni è frutto della poca conoscenza della cultura ucraina e di quella russa, della loro storia presente e passata. Il mondo si divide in chi odia la Russia e chi l’America, per motivi squisitamente opportunistici. Fa impressione come, a distanza di molti anni dalla Guerra Fredda, non siano cambiate di molto le cose. Siamo schiacciati tra due superpotenze dalle quali siamo totalmente dipendenti per motivi economico- politici.

A farne le spese, ancora più di noi, è proprio la povera Ucraina, dilaniata internamente dalla vecchia generazione, legata all’Unione Sovietica, e la nuova generazione, aperta all’Occidente. Un’Ucraina divisa tra la parte orientale russofona e quella occidentale, più legata invece alle tradizioni ucraine. Un Paese utilizzato come mela della discordia, strumentalizzato senza scrupoli dall’America e dalla Russia. Da questo terribile attacco l’Ucraina ne uscirà distrutta, non “soltanto” in termini di perdite umane ed economiche, ma anche di identità culturale. Identità che questo Paese ha sempre avuto, nonostante la Russia le abbia sempre gravitato attorno, nonostante condivida con essa molti aspetti culturali, linguistici, religiosi. Il primo regno monarchico slavo ebbe sede proprio in Ucraina (la Rus’ di Kiev). Inglobata e mantenuta dalla Russia, ma anche schiacciata, sfruttata, depredata e saccheggiata da Stalin durante l’Unione Sovietica, la sua indipendenza, conquistata nel ’91, le è costata molto cara. Ed è proprio questo che fa ancora più male, assistere ad una sanguinaria guerra tra Paesi fratelli, tra vicini di casa, parenti, amici, partners commerciali.

Una cosa è certa: questa guerra rappresenta un grande fallimento, non sembra concludersi a breve e avrà conseguenze devastanti non soltanto per l’Ucraina, ma probabilmente per molti altri Paesi europei e mondiali.

Un’altra cosa, ahimè, sembra essere altrettanto certa: l’Europa non conta nulla nello scenario mondiale. Ma questo si sapeva già.