Il silente urlo di Adler

Dicono che Sochi sia un posto splendido. Una località per ricchi imprenditori russi, un posto da favola, tra mare e montagna. Non a caso, scelto da Putin come città delle prossime Olimpiadi Invernali.
Dicono anche che Sochi sia in Russia. Il che, da un punto di vista geo- politico, è vero. Da un punto di vista culturale e posizionale, però, Sochi è praticamente in Asia- e con essa ha molto più in comune che con la Russia. Sochi è Caucaso. Al confine con la Georgia, è una cittadina quieta, con un clima mite e umido, di cultura prevalentemente armena.
Non tutti sanno che le Olimpiadi Invernali non si svolgeranno a Sochi, ma ad Adler, dove c’è il villaggio olimpico. Adler è un piccolo e piuttosto desolante sobborgo, famoso solo per ospitare l’aeroporto. Oggi Adler si è tramutato in un fervente, caotico e trafficato cantiere, oppresso da nuove strade, edifici ultra-moderni, gigantesche infrastrutture olimpiche.
I giornali, soprattutto quelli russi, mostrano naturalmente solo il lato glorioso delle Olimpiadi. Carrellate sul fantastico stadio, su moli illuminati la sera; edifici scintillanti e candidi, il nuovo treno capolavoro di tecnologia ed efficenza, la gente sugli sci che esclama che “quassù a Krasnaya Polyana (la località sciistica appena sopra Adler) è un sogno, c’è tanta neve e ci si diverte”.
Parlando con le persone del posto, si avverte la stessa sinistra omertà e tranquillità. Appaiono tutti felici dei nuovi impianti in costruzione, del turismo in arrivo, dei cambiamenti in atto sul territorio. Ripetono che la loro terra è bellissima.
Su tutta questa patina di sviluppo, trionfo e spettacolo c’è un’ombra. Un segreto. C’è un sottobosco di cose non dette, di immagini non divulgate. Non sto parlando dell’allarme terrorismo- perché anche quello è alla luce del sole, strumentalizzato dai media e sbattuto in faccia come se fosse ormai ovvio che i ceceni faranno saltare in aria tutto. Le vedove nere, gli episodi a Volgograd, gli snervanti controlli per entrare allo stadio, la polizia ovunque…- tutto ciò è reale, si percepisce, è allo scoperto, ma non è ciò che coglie il mio interesse. Sto parlando di un altro tipo di nube sinistra e nascosta. Parlo di qualcosa che si scova nella terra, negli ortaggi delle vecchie signore con il fazzoletto in testa al mercato; parlo del respiro affannato ed asmatico di un villaggio invaso dalla modernità, e assolutamente non preparato e non capace di contenere questo genere di intrusione; parlo di un altro tipo di bomba che sembra pronta ad esplodere. Adler, in questo senso, sembra assumere i connotati sulfurei ed inquietanti dell’Inferno- e lo dice il nome stesso (in russo Ad significa, come in greco, proprio Inferno). La notte la pioggia scroscia con una prepotenza che quasi penetra nei tetti, sfalda i leggeri muri dei nostri instabili alberghi. Il vento soffia con una forza che ha già divelto il tetto di un edificio in costruzione nel parco olimpico. Il traffico è surreale per un luogo così piccolo, dotato di un’unica strada a due corsie senza possibilità di inversione di marcia per oltre 8 km. Nelle gimcane che si è obbligati a percorrere per arrivare al parco, nei meandri nella miseria che si fiuta negli aliti pieni d’alcool degli uomini locali, io sento disagio. Cammino per le strade piene di polvere, per il piccolo centro e avverto un’insolita quiete, e non percepisco il colore e il calore del Caucaso, della cultura armena, non percepisco un’identità, se non tra le righe, se non oppressa- ma non siamo in una dittatura, o almeno, apparentemente. Le baracche e le mense dalle luci al neon in cui la sera siedono persone dando la schiena alle vetrate a mangiare un pezzo di carne e del plov (tipico riso uzbeko) contrastano in maniera troppo stridente con lo tsunami di turismo, di giornalisti, di Europa, sport, spettacolo e modernità che sta per abbattersi addosso a questo paesino. La Russia porta con estrema eleganza e non senza una dose di perverso fascino i suoi contrasti post- comunismo, e personalmente li ho sempre colti con grande interesse, scavati, ho cercato di lasciarli parlare e di provare a descriverli. Con Adler è diverso. Adler non mi comunica qualcosa in maniera diretta, come solitamente mi accade quando mi fermo ad ascoltare ciò che uno di questi luoghi ha da dirmi. Non usa neppure metafore o chiaro-scuri. Adler sta in silenzio e mi sussurra qualcosa di incomprensibile. Adler mi sorride, ma sotto sta urlando.