Il motto di spirito e i tabù sociali: i limiti e le conseguenze delle battute

Lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock ha oscurato persino la guerra in Ucraina sui social in questo momento. Non si parla d’altro. Il che potrebbe già essere un buon motivo per non parlarne in questo articolo!

Non voglio dunque parlare del fatto in sé, di cui onestamente mi frega poco e ancor meno mi interessa farvi sapere se io stia con Will o con Chris (o con nessuno dei due), ma del tema che l’accadimento porta con sé: le conseguenze, i limiti della battuta. Una domanda sorge spontanea: oggi si può ancora scherzare, ad ogni costo e su qualunque argomento? Si possono ancora fare battute dissacranti, pesanti, scorrette senza pagarne le conseguenze? Qual è il confine tra uno scherzo e un’offesa? Mi riferisco ovviamente anche alle vicende del Charlie Hebdo e, recentemente, ad un tweet che ha destato grande indignazione, quello, raggelante, del (comico?) Diomede a proposito di Carol Maltese, la giovane uccisa barbaramente da un ex fidanzato e vicino di casa. E’facile in questi casi sostenere che la gente sia limitata, che manchi di senso dell’umorismo, non “capisca” le battute politicamente scorrette. Tuttavia… mettiamoci nei panni del bersaglio della battuta. Ci farebbe solo e soltanto ridere, in quel caso?

Freud, in un interessante saggio, Il motto di spirito, sostiene esso che abbia una stretta relazione con l’inconscio e che comporti una riduzione delle inibizioni, abbia un effetto catartico, consenta di liberare un dispendio psichico. Ovviamente Freud (strano!!! Mai successo) collega l’effetto liberatorio della battuta con la sfera sessuale, per cui la battuta sarebbe sempre la liberazione di una pulsione sessuale prima trattenuta, ma che tramite essa può essere invece veicolata in pubblico senza cadere nell’osceno, nell’imbarazzante e nel traumatico per gli spettatori. La battuta, dunque, camuffa un tabù, permettendogli allo stesso tempo di uscire allo scoperto, edulcorato dall’effetto contagioso della risata. Per quanto datata sia questa visione, credo mantenga un carattere di verità universale. Se, ad esempio, Chris Rock avesse parlato del look di Jada Pinkett senza umorismo (senza paragonarla a Soldato Jane, ad esempio), la sua uscita sarebbe stata semplicemente raggelante e offensiva, senza alcuna attenuante. Ecco che la battuta, dunque, diviene un aspetto necessario e imprescindibile dell’esistenza: permette di esorcizzare drammi, lutti, orrori che fanno ahimè parte della vita di chiunque, permette che se ne parli e che, appunto, ridendoci sopra li si sopporti, li si renda umani e li si normalizzi. Anche Nietzsche fu un grande sostenitore della risata, connessa secondo lui con il dionisiaco, con l’accettazione della vita in ogni suo aspetto, che permette di guardare la realtà anche nei suoi aspetti più dolorosi e di “danzare con il piede leggero”, di essere liberi dal peso dell’esistenza ridendone, appunto.

Se l’obiettivo del motto di spirito è proprio di esorcizzare la realtà e le sue brutture, si può dunque scherzare su tutto? Certo, si può, ma l’esagerazione ha sempre delle conseguenze. Quando la battuta perde quel sottile equilibrio tra divertimento e repulsione, quando trascende il buon gusto e la moralità, ecco che diventa sgradevole, molesta, oltraggiosa. In ogni battuta, come in ogni cosa, ci dovrebbe essere un senso della misura: se una battuta trascende il buon gusto, si può ancora definirla tale? L’uscita di Diomede, ad esempio, è indubbiamente di pessimo gusto. Fa rabbrividire, sconvolge. Quello è il suo scopo, chiaramente, ma è anche il suo limite: in verità, non fa affatto ridere. Se fosse un motto di spirito ben riuscito, farebbe quanto meno sorridere amaramente. Dunque, si potrebbe dire che una battuta fallisce nel momento in cui c’è uno squilibrio troppo marcato tra il tabù che vuole esorcizzare e il modo in cui sceglie di farlo- squilibrio che sconfina nell’imbarazzo, mettendo solamente a disagio chi la ascolta. Come in un’opera d’arte mal riuscita, se c’è uno squilibrio tra la forma e il contenuto, tra l’estetica e il messaggio, tra apollineo e dionisiaco, ecco che l’opera fallisce nel suo intento. Va da sé che una frangia della popolazione ama lo humour nero, le battute particolarmente dissacranti e immorali a prescindere, e le ama precisamente per quell’effetto catartico portato all’estremo che esse comportano.

Il problema è che stiamo andando sempre di più verso il politicamente corretto– tendenza americana- e che dunque il futuro della battuta sembra costellato di avversità, perché si muove su terreni sempre più insidiosi e diventa veramente difficile, oggi, fare dello humour senza urtare la sensibilità di qualcuno. D’altro canto, è proprio su questi argomenti scottanti che la battuta va a battere, proprio perché sono al giorno d’oggi i più grandi tabù, al centro di accesi dibattiti. Si vedano gli interventi di Checco Zalone a Sanremo di quest’anno, a mio parere estremamente riusciti e divertenti, leggeri e niente affatto offensivi, ma che comunque non sono stati esenti da critiche. Il paradosso è che i suoi interventi, e in generale il personaggio di Checco, nascono appunto proprio come critica sociale verso chi categorizza, verso l’italianotto becero che demonizza gli omosessuali, i trans o i neri e vive di luoghi comuni e stereotipi. Chi si offende non ha capito il messaggio, non ha colto lo spirito del comico, la sua essenza.

Per ogni battuta ci sarà sempre qualcuno che si indigna– che non la capisce, oppure che la capisce ma non la trova divertente. L’importante è che non ci venga mai tolta la possibilità di farlo. Saranno i posteri, la gogna mediatica, la folla nell’arena, poi, a mostrare il pollice e decretare se una battuta sia riuscita o meno e ad ogni “delitto” potrà eventualmente seguire un “castigo”, ma per carità, censurare o soffocare certe battute soltanto per il rischio che siano offensive e mal riuscite significherebbe privarci di uno dei piaceri più diretti ed efficaci dell’esistenza. Impediteci di tirare pugni, impediteci di discriminare e insultare- giustamente-, ma vi prego, non impediteci mai di ridere e far ridere– anche se questo può, in alcuni casi, insultare qualcuno, è un rischio che vale la pena di correre.