Holodomor degli anni 30 : l’Olocausto ucraino?

Tutti conoscono l’Olocausto come lo sterminio degli ebrei ad opera di Hilter, ma pochi conoscono quello che viene spesso definito Olocausto ucrainoHolodomor, Голодомор che, in ucraino, significa moria di fame. Sta ad indicare un periodo tra il 1929 e 1933 nel quale ci fu una carestia dolosa in Unione Sovietica ad opera del regime di Stalin. Durante quel periodo morirono in Ucraina milioni di persone. Naturalmente, ai tempi il fatto fu insabbiato dalla stampa sovietica, soprattutto per non rovinare le relazioni diplomatiche con l’America. Non a caso, fu solo un leader mondiale (con disgusto possiamo definirlo leader, ma ahimè lo fu) a menzionare la fame in Ucraina: Adolf Hitler, con l’ovvio scopo di screditare il comunismo russo. E’ desolante che questa moria di persone venga menzionata dai fascisti solo come strumento di denigrazione e diffamazione del regime comunista, quando dovrebbe essere ricordata da tutti. Ci furono anche giornalisti britannici del “Times” che rischiarono la loro vita per portare informazioni sulla carestia, ma Stalin le smentì con le sue dichiarazioni propagandistiche: в СССР голода нет! “In URSS non c’è la fame!”.

Tutto ebbe inizio quando Stalin volle cambiare il sistema produttivo dell’URSS, unificando e collettivizzando tutte le terre agricole nei холхоз kolchoz (cooperative agricole). In Ucraina l’economia era fondata sull’agricoltura, e forniva alla Russia il 50% della farina. Sui кулаки, kulaki, i piccoli imprenditori agricoli dell’epoca, la collettivizzazione imposta da Stalin ebbe effetti devastanti. Milioni di contadini furono deportati in Siberia, sterminati o costretti a rinunciare alle loro proprietà private. La situazione divenne drammatica quando ai contadini venne tolto anche il minimo indispensabile per il loro sostentamento: tutto doveva essere ceduto allo Stato. Ben presto il termine kulak andò ad abbracciare tutti i contadini ucraini e chi possedeva più di tre mucche, che vennero denigrati dalla propaganda sovietica e di fatto 10 milioni di kulaki pare che vennero accusati, di cui un terzo fu mandato nei gulag e gli altri sterminati. Nel 32-33 fu instaurata la pena di morte per i kulaki, con l’accusa di aver rubato il grano allo stato (perché il rendimento previsto non era stato raggiunto): vennero giustiziate quasi 5.000 persone. Una commissione speciale capeggiata da Vyacheslav Molotov (da tutti associato alle bombe, esse furono in realtà usate dai nazionalisti di Franco nel 36 contro l’esercito sovietico. Molotov era dunque il bersaglio, non l’inventore) confiscò ai contadini ucraini tutti i beni primari come cibo e grano. Molotov fu un diplomatico, ovvero,  tradotto in termini più grevi, un gran paraculo: grande alleato di Stalin, entrò nel Politburo del partito, scampò alle purghe e si guardò bene dal divenire successore di Stalin, temendo per la sua incolumità (Krushev gli diede poi del filo da torcere espellendolo dal partito, ma ebbe ugualmente il privilegio di morire a 96 anni). La sua “diplomazia” in Ucraina venne decisamente a mancare. In pochi mesi la campagna ucraina fu colpita da una carestia incredibile, che colpì le popolazioni rurali. I bolscevichi, secondo le testimonianze dei sopravvissuti, non confiscarono solo grano, ma ogni altro bene, come fagioli, patate e barbabietole. Poi, fu la volta del pane. Quando non restò più nulla, gli ucraini cominciarono a mangiare i gatti e i cani; quando sparirono anche quelli, la gente morì. A 120 chilometri da Kiev, nel villaggio di Targan, nel 33 sopravvisse solo la metà degli abitanti. Ciò che ha spinto gli studiosi a classificare questa azione governativa come dolosa è il fatto che, sebbene la carestia colpì in generale l’Unione Sovietica in quegli anni, agli Ucraini era negata la possibilità di chiedere il pane ai Bielorussi o alla Russia, poiché vennero bloccate le frontiere e la vendita dei biglietti dei treni. Si parla di un bilancio da 1,5 a 5 milioni di vittime.

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A Kiev, in Lavrska, sul promontorio nel centro della città, è possibile visitare il Memoriale delle vittime del Holodomor, la cui giornata ufficiale della memoria è stata fissata al 4 di novembre. Nel museo sono racchiusi i registri delle vittime della carestia. Una statua appena fuori dal museo raffigura una bambina dilaniata dalla fame, con le mani giunte in segno di sofferenza e preghiera.

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Si può parlare, in questo caso, di genocidio? Il termine genocidio fu coniato nel ’44 da un giurista ebreo polacco, ad indicare la distruzione di un gruppo nazionale o etnico (dal greco genos, popolo, e dal latino caedo, uccidere). La comunità internazionale sta prendendo posizione nel riconoscerlo come tale, ma gli studiosi sono divisi sull’argomento. C’è chi sostiene che non si possa parlare di genocidio in quanto la carestia colpì altre popolazioni sovietiche in quel periodo, e l’atto governativo della politica repressiva staliniana non era volto allo sterminio in particolare del IMG_0223popolo ucraino. In questo caso, il termine esatto sarebbe “crimine contro l’umanità”. Nel 2008 il Holodomor è stato ufficialmente riconosciuto dal governo ucraino e da altre 19 nazioni come genocidio ad opera del regime di Stalin; anche l’ONU nel 2003 ha denunciato la carestia come il risultato di azioni politiche crudeli; nel 2008 il Parlamento Europeo l’ha riconosciuto come crimine contro l’umanità.

Sotto il termine di genocidio possiamo classificare moltissimi stermini di popoli o gruppi etnici/religiosi in tutto il mondo, di cui l’Olocausto contro gli Ebrei è il più noto, ma eccone altri: genocidio dei nativi americani durante la colonizzazione, in Patagonia nel 1800 ad opera del governo argentino, dei popoli africani ad opera degli europei durante il periodo coloniale (Congo, Herero, Sudan, Costa d’Avorio), il genocidio degli Armeni del 1915 ad opera del governo turco, quello nella Cina di Mao Tse Tung, il massacro di parte dell’intellighenzia polacca, conosciuto come massacro di Katyn durante l’Unione Sovietica, il massacro delle foibe ad opera dei partigiani di Tito, il massacro di Srebrenica durante la guerra in Bosnia, lo sterminio dei georgiani in Abkhazia, e tutti quelli in Africa (Ruanda, Darfur…), o in Asia (Khmer Rossi in Cambogia che massacrarono milioni di civili). Nominare tutti quelli che sono reputati come tali sarebbe impossibile.

Concludere che, indipendentemente dal progetto politico- economico dietro ai genocidi, homo homini lupus, sarebbe persino gentile, e offensivo per quanto riguarda il lupo. Il lupo non uccide i suoi simili del branco, e ha un comportamento assai più onorevole di quello di certi uomini. Sarebbe più appropriato dire Homo homini inhumanus, oppure homo homini nihil, nel senso che l’uomo è il nulla dell’uomo. L’uomo è ciò che annienta se stesso. E alla fine, come in un dipinto della Tretyakovskyaya a Mosca che non può non colpire, non rimarranno che teschi. “L’apoteosi della guerra” “Апофеоз войны», di Vassilij Vereshagin, è l’ironico e azzeccato titolo del quadro del 1871, straordinariamente moderno per l’epoca.

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