Vivere sotto i bombardamenti- articolo tradotto

Come si vive in una città sotto assedio? Come cambia la vita quando d’improvviso nella propria città si inizia a temere di morire ogni giorno, e si sentono distintamente i rumori dei proiettili e delle bombe? E’ di questo che ci racconta un imprenditore e attivista che vive a Donetsk, e che ha deciso di non scappare dalla sua città, ma di aiutare chi non riesce a lasciarla, chi è in difficoltà. La città appare semi-deserta, poiché moltissimi sono emigrati dove hanno potuto, ma continua ad esistere, cercando di reggere il peso della guerra. Ho deciso di tradurre questo articolo, apparso pochi giorni fa sulla Ukrainskaya Pravda, perché è una delle tante testimonianze di cosa pensi chi vive oggi a Donetsk (fortunati, a detta dell’autore dell’articolo, in confronto a quelli di Lugansk e Gorlovka, dove la catastrofe umanitaria è del tutto in atto). L’ho scelto perché mette in luce una cosa scontata, ma da non sottovalutare, riassumibile così: esistono due tipi di persone, quelle che parlano della guerra, e quelle che la vivono. Chi vive sotto le bombe se ne frega di tutti i dibattiti di natura politico-ideologica. Vuole soltanto sopravvivere. Tutto passa in secondo piano, eccetto la propria vita. Il resto delle attività quotidiane è messo tra parentesi. In questa sottile lastra di sospensione in cui, come attraverso una cartina tornasole, emerge ciò che conta veramente, si trovano intrappolati, per scelta o per necessità, gli abitanti delle città bombardate. Nella tragedia si può trovare qualcosa di positivo? Poiché è ineluttabile, ci si crea degli strumenti di difesa, si prova a trarre dall’orrore qualcosa. Cosa? Forse in questo articolo si può intravedere come allo status quo, al tempo in cui la vita si dà per scontata, si sostituisca un tempo completamente diverso, i cui orari sono scanditi dagli spari. Un tempo in cui l’unica modalità di sopportazione sembra essere abbandonarsi all’eroismo e all’altruismo, all’inerzia o alla paranoia, aggrapparsi disperatamente alle piccole abitudini di ogni giorno. L’uomo della guerra è “straordinario”, nel senso che c’è una spaccatura incolmabile tra l’uomo colpito dalle bombe e quello ordinario, colpito dall’abitudine. La “guerra altrove”, cui si assiste da un luogo sicuro, è una fiction dell’anti-sublime creata dall’informazione di massa, che scalfisce delicatamente le coscienze in poltrona, come un lieve buffetto sulla guancia. Abituati da tempo immemore al suono di sottofondo del proprio ruscello che scorre, ne avvertiamo lo schiocco solo quando è minacciato da missili o malattie. Di colpo, allora, tutto diviene magnifico. In tempo di guerra, si potrebbe persino diventare amici del vicino di casa, del barbone sotto casa, del venditore di accendini vicino a casa, purché la propria non crolli, al grido di “siamo tutti uguali”. C’è un solo uomo altruista, saggio e generoso: quello disperato. La filantropia è la cifra della disperazione: amiamo il prossimo soltanto se condannati a morte. Per il resto, bisogna arrivare a vedere cadaveri smembrati per apprezzare la propria carne viva- grassa o magra, abbronzata o pallida che sia. Uno dei maggiori difetti congeniti dell’uomo è l’arrivare sempre in ritardo al colloquio con la vita. La sua bellezza e il suo senso appaiono soltanto quando sta chiudendo i battenti. Finalmente li si intravede, e subito la vita li inghiotte dietro di sé. Si potrebbe non provare pena per una creatura che capisce solo quando è disperata, che può diventare felice soltanto quando è profondamente infelice? L’uomo in tempo di pace parla di tutto, perché dimentica tutto; perde di vista l’essenziale; sceglie, non vuole accontentarsi, sogna una vita spericolata, è lunatico, è apatico, meteoropatico. Lo vedete, quell’uomo? Ha il nostro viso, i nostri occhi. Quell’uomo siamo noi.

VIVERE SOTTO I BOMBARDAMENTI- di E. Mendenes

Trovarsi in una città nella quale sono in corso operazioni militari, è un particolare “piacere”. La quantità di aspetti terribili è altissima. Quelli positivi sono due. Cominci a guardare in modo nuovo alla tua vita da principio, e conosci certe persone, che non avresti mai incontrato in un momento di pace.
Mi costa parecchia forza obbligarmi ad uscire di casa e cominciare a fare qualcosa. Come un imprenditore, il cui lavoro si fosse fermato completamente, mi è toccato passare attraverso un completo cambiamento del mio stile di vita.
Non ci sono più trattative, contratti, tender, né routine amministrativa. Nella mia agenzia pubblicitaria i clienti sono diventati 10 volte di meno, tutti i collaboratori se ne sono andati oltre i confini della città e mi bastano due ore alla settimana per tenere in vita dell’azienda.
Per me, il principale obiettivo adesso è il lavoro umanitario e sociale.
In primo luogo, molte persone non riescono a lasciare la città e serve loro aiuto- si tratta di vecchi, bambini e persone poco abbienti. Qualcuno non sa dove andare, qualcun altro non ha alcun mezzo, qualcuno è arrivato a Donetsk come profugo da città più piccole di provincia- ad esempio, ci sono più di mille rifugiati da Shaktersk, Avdeevka, Marynka, sulle quali ha preso praticamente il controllo totale il nostro gruppo.
Secondariamente, in molte persone la situazione corrente ha provocato una paralisi della volontà. Sono letteralmente sotto shock per ciò che sta accadendo, e totalmente disorientati.
I cinesi avevano maledettamente ragione con la loro maledizione sul tempo dei grandi cambiamenti. Come lato positivo, è da notare come le difficoltà incidano sulla psiche umana. Dopo ogni nuova onda di panico, che sorge dopo l’inasprimento di qualche azione bellica, o dopo qualche diceria, fugge dalla città una gran parte di cittadini. Qualcuno se n’era andato già a marzo, quando i disordini erano appena cominciati- in confronto a quello che c’è adesso, allora era una “recita di bambini”.
Non biasimo in alcun modo coloro che hanno abbandonato Donetsk sotto la pressione della Repubblica Popolare di Donetsk, oppure dopo aver perso la proprietà a causa di rapinatori e sciacalli che scorrazzavano per la città. E non c’è nulla di riprovevole nel fatto che la gente abbandoni i quartieri sottoposti in maniera particolarmente intensiva ai bombardamenti.
Anche se alcuni ritornano. Questo è legato al fatto che certi, che contavano di passare il periodo di crisi in vacanza, ad un certo punto hanno finito i soldi. Negli ultimi tempi per strada si vedono molti più ragazzi abbronzati.
C’è una migrazione grande e interna in città. Tre quartieri periferici di Donetsk, dove si svolge la gran parte dei combattimenti, subiscono interruzioni di approvvigionamento elettrico, perciò una parte dei loro cittadini si è trasferita da amici/parenti più vicini al centro.
I problemi con i viveri sono evidenti con i generi alimentari più gettonati- ad esempio, il latte. Si diffondono le conserve. Si è anche riscontrato un aumento di prezzo sulla panetteria nei supermercati del centro, perché ora servono più persone.
Molti conoscenti notano una peculiare risposta protettiva del cervello a tutti gli orrori che accadono intorno- si inizia a vedere il mondo non come la propria vita, ma come un film che stanno girando su di te.
E’ anche da notare come l’essere umano si aggrappa alle piccole isole di stabilità intorno a sé. Io non ho visto mia moglie e mia figlia per oltre un mese, perché le ho mandate in una regione più sicura in Ucraina. Ma sono felice quando vedo che il mio ristorante preferito in centro è ancora aperto, anche se con orari limitati. Ho voglia di continuare ad andarci, non curandomi del fatto che sarebbe razionale vivere risparmiando- non ho praticamente più alcuna fonte di reddito, adesso.
Ai bombardamenti cominci ad abituarti- ti trovi incluso in una sorta di ritmo. Il “segnale” è alle 23.00. Inizia l’appello di artiglieria in periferia. Dal mio quartiere è lontano, io sento soltanto un eco di rotolamento. Quelli che vivono laggiù, vanno a dormire in scantinati e rifugi anti-bombe.
Come l’eco finisce, anch’io mi spengo. La “sveglia” è alle 4 del mattino: di nuovo, l’appello tra le parti in conflitto. Ho sviluppato un riflesso condizionato: mi alzo esattamente alle 4, anche se il fuoco è in ritardo.
Si sta 30 minuti in bagno, lontano dalle finestre. Poi si può tornare di nuovo a letto. Di giorno, le cose vanno come capita. A volte sparano per 3-4 ore. A volte ogni ora. Quando spara “Grad”, si sente tutta la serie di colpi. Dicono che il missile “Grad” vola per 40 secondi. Ecco, in quei 40 secondi pensi a dove si schianterà- magari, possibilmente, non nel tuo appartamento.
La gente comincia a distinguere i mortai dagli obici e dai MLRS. E di questo non sono vagamente consapevoli, ma del tutto esperti.
A casa bisogna riuscire a tornare un po’ prima, perché la città è sotto assedio, e non è certo il caso di scherzare con gli artiglieri, che seguono il coprifuoco. In generale penso con orrore che i benefici, che ancora sono rimasti a noi qui a Donetsk, sono un lusso estremo per quelli di Lugansk e Gorlovka, dove è già cominciata la catastrofe umanitaria e il collasso comunale.
Quelli che vi sono rimasti dentro pensano solo alla pace e alla cessazione del fuoco. Parlare della vittoria ad ogni costo, o della complessa situazione geopolitica, è prerogativa degli osservatori. In parole povere, di quelli che continuano a vivere una vita normale, letteralmente a 100-200 chilometri dalla zona ATO. Noi abbiamo pensieri più semplici: sopravvivere e aiutare a sopravvivere quelli che non riescono a farlo autonomamente. Argomenti come “a quale parte tieni?”, per i cittadini che sono rimasti non esistono. La guerra non è il momento migliore per discorsi sociali. Di questi idioti “iperattivi” in città ne sono rimasti pochi- abbiamo creato il gruppo “Cittadini responsabili” fra quelli che hanno deciso di restare. Le divergenze ideologiche, chi ognuno era precedentemente, non ci preoccupano minimamente. La priorità è focalizzata su chi può fare qualcosa in concreto.
Portare via gli anziani o i bambini, trovare un alloggio temporaneo per i rifugiati, lasciare commenti per i media ucraini e stranieri, raccogliere soldi per i punti alimentari per gli sfollati o per la necessità di trovare una medicina. Molto spesso i problemi si risolvono per “passaggio a 10 mani”- intendo dire, tramite collaborazione di molti. Qualcuno ha l’automobile, qualcuno ha dei contatti, qualcuno ha semplicemente forza trainante. Tutti quelli che sono rimasti si preoccupano delle nostro futuro e delle prospettive della città e della nazione. Nonostante il fatto che l’orizzonte di pianificazione si estenda sino alla mattina seguente. Non voglio esser tacciato un’altra volta di pacifismo, ma per capire che una pace cattiva è meglio di una buona guerra, è necessario viverci, in quella guerra.
Quando andiamo a Kiev, portiamo con noi souvenires, come frammenti di proiettili, che sono volati su una serra già distrutta, dove crescevano pomodori, che prima della guerra era gestita da un membro del nostro gruppo. In tempo di pace, alimentava più di 70 famiglie dei villaggi vicino a Donetsk, le stesse che oggi non hanno acqua, lavoro, e alcuni nemmeno un tetto sopra la testa. Per chi si trova lontano dalla guerra, è sufficiente prendere in mano questi pezzi di metallo, per percepire il loro peso e immaginare come essi possano entrare nella viva carne umana. Dopo di che, a molti scatta qualcosa nella testa, e anche loro cominciano a non pensare più a chi ha torto o ragione, ma a cosa preoccupa i residenti nella zona ATO.
Come salvare vite umane? E’ possibile tradurre il conflitto in mainstream politico? Da chi si può aspettare aiuto per i cittadini del Donbass, che hanno perso tutto? Tutto, tranne che la speranza nella pace.

Cominci ad apprezzare la vita, quando capisci chiaramente che la potresti perdere. Giovedì pomeriggio sono nato una seconda volta. Per la prima volta nella mia vita, sono capitato in una zona di bombardamento. Quando “qualcosa” si è abbattuto sull’edificio del centro commerciale “Grand Plaza”, mi trovavo nel mio ufficio. Poco dopo notai che, sulla facciata, da me al punto d’impatto correvano circa 10 metri- una distanza insignificante per lo spargimento di frammenti. Ero entrato nell’ufficio per stampare alcuni fogli con la parola “bambini”, perché i nostri ragazzi Dmitrij Shibalov e Anton Skyba hanno trasportato a Mariupol due mamme con bambini, peraltro una delle due era anche incinta. Di sotto mi attendeva Marina Cherenkova con cui dovevamo andare al Gorsovet a distribuire razioni di cibo per le zone più colpite. Feci giusto in tempo a bere un bicchier d’acqua, quando sentii dapprima un’esplosione, poi un’altra. L’edificio tremava fortemente, intravidi una nuvola di polvere dietro la finestra, mentre ero per un secondo al settimo piano. Così com’ero, con la tazza e il telefono in mano, corsi nel corridoio e caddi a terra. ’inizio pensai di essere caduto in basso, nel parcheggio, oppure ai piani di sopra. Il telefono squillò. Era Skiba: “Ehi, amico, sembra che sia volato da te. Dove sei?”. “Sono nel mio ufficio, sul pavimento.” La cosa principale è non usare l’ascensore. Bisogna scendere per le scale. –Ok, uscite anche voi da qui.
Quindi, chiamò Marina Cherenkov: “Non ti ho abbandonato. Sono qui, mi sono spostata dall’altra parte della strada, scendi e saremo selezionati”. Ho pensato molte volte a come avrei dovuto comportarmi in caso di emergenza in ufficio, ma in quel momento mi persi, preso alla sprovvista. Scesi per le scale antincendio, ma di sotto si rivelò chiuso. Fui obbligato a tornare a uno dei piani e chiamare comunque l’ascensore. Vicino a me correvano persone, che volevano rifugiarsi nel parcheggio. Tutta l’area davanti ’ingresso era ricoperta di piccoli vetri rotti. Vidi la nostra auto e mi precipitai verso di lei. Dopo, oltre un isolato, vedemmo un uomo ucciso, uno dei tre deceduti in quel quartiere, nel luogo in cui cadde uno dei proiettili.
La realizzazione di ciò che era accaduto arrivò 30 minuti dopo. Iniziai a chiamare amici e conoscenti, giornalisti, e stringere loro la mano. Grazie a tutti coloro che mi hanno scritto e si sono preoccupati per me. Sono vivo.

 L’autore è Enrike Menendes, nativo della regione di Donetsk, di origine spagnola. E’ imprenditore, attivista, fra gli organizzatori del meeting a Donetsk per l’unità dell’Ucraina (5 marzo 2014), membro del gruppo d’iniziativa “Cittadini responsabili”.

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