“La vita è ovunque” di Yaroshenko: la libertà esiste?

Un altro dipinto che ha avuto un grande impatto, sempre alla mia amata galleria Tretyakovskaya di Mosca, è Всюду жизнь, “La vita è ovunque“(1888) di Yaroshenko. Il pittore ucraino di Poltava ritrae un carro (un vagone verde) dei carcerati, in cui da una finestrella con le sbarre sono visibili tipologie diverse di persone: una vedova vestita di nero, un bambino, un intellettuale, un contadino e un malvivente. Il quadro suscita una sensazione di compassione per i rinchiusi e di empatia con loro. Senza essere un’idealizzazione (seppure in molti l’abbiano sottolineato), il quadro ha un che di allegorico, di iconico. Sembra suggerire allo spettatore che ci sia una qualche ingiustizia nell’incarcerazione di quei personaggi, dai volti così semplici e puri.

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“La vita è ovunque” di Yaroshenko

Il bambino che dà da mangiare agli uccelli è il punto chiave del dipinto, il nesso che crea un collegamento tra il mondo esterno, libero, e quello interno, della reclusione forzata. Il dipinto potrebbe ricordare uno zoo umano, uno zoo al contrario. Sembra che avvenga un ribaltamento, perché gli umani sono imprigionati, mentre gli animali sono liberi. Questo suggerisce una metafora ben più amara, ovvero quella che l’uomo sia libero solo in apparenza, ma in realtà è schiavo (dei dettami della società, del lavoro, dei soldi e via dicendo). Le uniche creature davvero libere e invidiabili sono dunque gli animali, gli uccelli che possono volare. In questa direzione, il quadro ricorda la visione di Leopardi riguardo al fatto che “gli animali non han più di noi, se non il patir meno”. Nella celeberrima poesia “Il passero solitario“, Leopardi finisce per invidiare il passerotto, perché “Tu solingo augellin, venuto a sera/ Del viver che daranno a te le stelle,/ Certo del tuo costume/ Non ti dorrai;/ che di natura è frutto/Ogni nostra vaghezza./ A me, se di vecchiezza/La detestata soglia/ Evitar non impetro,/ Quando muti questi occhi all’altrui core,/E lor fia voto il mondo, e il dì futuro/  Del dì presente più noioso e tetro,/ Che parrà di tal voglia?/Che di quest’anni miei? Che di me stesso?/Ahi pentiromi, e spesso,/Ma sconsolato, volgerommi indietro.

A proposito della libertà, una visione altrettanto pessimistica si può trovare in Gorkij nel “Racconto di un amore non ricambiato” (1922). Lo scrittore inscena un diverbio tra il protagonista, Petr, e un giovane con cui è in contrasto. Si tratta di Bogomolov, borioso idealista figlio di un prete, ma divenuto ateo per moda. Egli, secondo Petr, appartiene alla categoria delle “persone che hanno, al posto dell’anima, una biblioteca popolare“. Bogomolov propugna la libertà come massimo valore e la vede ovunque. Petr gli risponde che “la libertà, caro signore, non è che una falsa illusione” e che “ogni persona non è libera neanche nel sonno, e persino l’immobilità della pietra non è libertà, perché anche la pietra esiste fino al momento in cui non verrà sgretolata in sabbia. Ogni persona è prigioniera delle diverse circostanze della vita, il Diavolo è schiavo del proprio male, e Dio- se esiste- è schiavo delle proprie azioni, non raggiungibili dalla mente umana. Ecco i miei pensieri sulla libertà!”.

Al pittore Yaroshenko il tema della prigionia è caro. Un altro suo dipinto raffigura un rinchiuso, ma in maniera completamente diversa da “La vita è ovunque”. Si tratta del quadro “Il prigioniero“. Qui non c’è idealismo, non c’è invidia per l’inconsapevolezza degli animali: c’è soltanto la cruda realtà di un prigioniero che ci dà le spalle e guarda a tutto ciò che è fuori. Non vediamo il suo volto, ma possiamo immaginare la sua espressione- rassegnata, nostalgica. La forza del dipinto sta proprio nel non mostrare, ma nel lasciar intendere.

Oggi cosa si può pensare della libertà? Non è più il valore romantico dell’Ottocento, ma è ugualmente considerata diritto primario dell’uomo. L’uomo dei nostri tempi è libero o è schiavo (delle mode, dei social network, dei suoi obbiettivi e delle sue ossessioni…)? Forse la risposta sta proprio nel quadro di Yaroshenko. C’è qualcosa di ottimistico in quel dipinto, ed è proprio quella sottile positività, forse, ad averlo reso tanto celebre. “La vita è ovunque“, è il titolo del quadro. Ovunque c’è un brulicare, un esistere, un vivere e amare. Gli uccelli in stormo volano, gli uomini in gruppo, anche dietro le sbarre, vivono. La vita, anche se non è libertà, ne è più forte. E’ questo il suo trionfo, la sua incessante attività, il suo urlo e la sua forza, che nemmeno le sbarre possono sopprimere.

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“Il prigioniero” di Yaroshenko