Tetris: trent’anni di sfide impossibili

Si legge spesso in questo periodo a proposito di TETRIS, il famosissimo gioco per Game Boy dal successo ineguagliabile, dato che compie trent’anni quest’estate. Tetris è per antonomasia collegato alla Russia perché il suo inventore, Aleksey Pazhitinov, è russo. Oltre al paradosso per cui proprio dall’Unione Sovietica arriva un gioco così tanto commerciale e globale come il Tetris (diffuso grazie ad un imprenditore danese, Hank Rogers, che rimase folgorato dal gioco ad una fiera a Las Vegas e solo dopo lunghe mediazioni, aiutato da agenti del KGB come interpreti, ottiene i diritti per il Game Boy), c’è un altro aspetto affascinante di questo gioco ad incastri, che ho letto negli articoli correlati al suo anniversario. Giocando a Tetris, è impossibile vincere. Sembra una banalità, ma non l’avevo mai considerata. Si tratta dunque solo di resistere il più possibile, ma prima o poi il computer avrà la meglio. Molti giochi del casinò sono progettati secondo lo stesso principio, onde evitare il fallimento degli stessi: il banco vince sempre. La vittoria del giocatore può essere soltanto temporanea, ma alla lunga, per un semplice calcolo delle probabilità, egli è destinato a perdere.

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Il paradosso risiede nel fatto che l’uomo stesso progetta qualcosa che è al di là delle sue possibilità, qualcosa che lo conduce alla sconfitta. L’uomo, a tavolino, dà vita ad una rappresentazione dell’impossibile logico, che potrebbe essere imputato al concetto di Dio, alle sue facoltà. “Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio“, si legge nel Vangelo di Luca. L’assurdità è che la logica è un artificio umano, che a volte supera le capacità di comprensione del suo creatore. Un esempio concreto di tentativi di rappresentazione dell’impossibile è dato dal cubo di Necker costruito nello spazio, e dalle splendide litografie di Escher (i cui incastri potrebbero avere, in un certo senso, ispirato il creatore di Tetris).

cubo impossibile
Cubo impossibile
Escher
M.C. Escher

Altri esempi di impossibile sono le antinomie in cui incapparono fiosofi greci come Epimenide e Zenone, ma anche logici moderni. Ecco il “Paradosso del Mentitore” di Epimenide. Proposizione A: la “proposizione A” dice il falso. La domanda da porsi è: la proposizione A è vera o falsa? Se la proposizione è vera, allora il suo significato implica che sia falsa; se è falsa ciò significa che è vera, aprendo un regresso ad

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M.C. Escher

infinitum, che mostra la contraddizione.  Questo tipo di scetticismo può diventare iperbolico e portare alla negazione dell’esistenza della realtà o all’impossibilità di provare qualsiasi affermazione. Il trilemma di Munchausend (o di Agrippa) sostiene che, volendo dimostrare un’affermazione qualsiasi, si ricade in uno di questi 3 casi: affermazione circolare (circolo vizioso per cui affermazione e dimostrazione dipendono reciprocamente), argomentazione regressiva, in cui ogni dimostrazione richiede una dimostrazione ad infinitum, e argomentazione assiomatica, che termina con un dogma, indimostrabile, che dovrebbe dimostrarla. Il filosofo Bertrand Russell incappò in antinomie molto più elaborate, ma dello stesso tipo. logica moderna mise a tacere Bertrand, entrato totalmente in crisi, liquidandolo con “sono soltanto inganni dovuti ad un fraintendimento del linguaggio”. Può darsi, ma come la mettiamo quando l’antinomia logica sembra non dipendere dal linguaggio? Prendiamo il famoso quiz televisivo in cui il conduttore chiede al concorrente di scegliere una tra tre porte chiuse- se indovinerà quella giusta, vincerà un premio. Dietro una delle 3 è nascosta un’automobile come premio, dietro le altre due una capra. Dopo che il giocatore ha selezionato una porta, il conduttore (che conosce tutte le risposte) apre una delle altre 2 porte, rivelando una capra, e propone al giocatore la possibilità di cambiare la sua scelta iniziale, puntando sull’unica altra porta restante. E’ stato dimostrato, a livello di calcolo delle probabilità, che se il giocatore cambiasse la sua prima scelta, avrebbe 2/3 di probabilità di vincere, rispetto a 1/3 iniziale. Questo appare contro la logica, perché sembra che le probabilità di indovinare, dopo l’apertura di una porta con la capra, dovrebbero essere del 50% sia restando sulla prima scelta che cambiando la propria scelta. In realtà quest’affermazione è controintuitiva ma non è un’antinomia, perché non genera contraddizioni logiche (è il problema di Monty-Hall).

Torniamo al nostro gioco ad incastri, Tetris. Perché, dunque, ha avuto così successo, se l’impossibilità di vincere è sempre stata palese? Avrebbe dovuto perdere molta attrattiva, stando al fatto che il motto consolatorio “l’importante è partecipare” suona sempre piuttosto deprimente. Al contrario, l’enorme successo di Tetris e dei giochi d’azzardo testimonia che ciò che affascina è proprio questa ripetizione giocosa del possibile, nel tentativo di giungere all’impossibile, pur sapendo che ciò non accadrà. C’è sempre una parte del cervello che non abbandona del tutto la convinzione di poter battere il computer (o la logica) e si diverte nel tentarci continuamente.  La chiave sta dunque nel tentare all’infinito, nell’aspirare all’impossibile. E’ proprio questa tendenza a migliorarsi, che porta l’uomo al progresso. Stando ad un bell’aforisma, “Cercando l’impossibile, l’uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.”(Michail Bakunin, Considerazioni filosofiche sul fantasma divino, il mondo reale e l’uomo, 1871). Ribalto dunque la mia affermazione iniziale: è proprio l’impossibilità di battere Tetris che, rendendo questo gioco eternamente ripetibile, lo rende accostabile all’infinito e ne ha determinato il costante, inesauribile successo.

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M.C. Escher, Nastro di Moebius