La roulette russa tra passato e presente

Se vi dessero un milione di euro per giocare alla roulette russa con una pistola carica, accettereste? E’ la trama di un film con Eva Mendes, Live!, uscito qualche anno fa, in cui il premio di un reality show è 1 milione di euro, a patto che 6 concorrenti, candidatisi spontaneamente, si sparino un colpo in testa con una pistola che contiene un solo proiettile. Il film non è niente di che, ma colpisce pensare fino a dove arriverebbero molte persone, pur di “sistemarsi” economicamente. Se fosse possibile realizzare davvero un reality del genere, troverebbe milioni di iscritti, ma ancor più spettatori. L’idea morbosa della morte in diretta attirerebbe il pubblico di massa. Il film porta al paradosso due valori  al primo posto nel mondo contemporaneo: i soldi e la vita. Si vive per e grazie al denaro, ma si potrebbe anche morire per lui?

La vita oggi è un valore sacro più che in passato, dove si rischiava di continuo in battaglie, duelli, sfide, ed era normale morire a trent’anni. La tesi, sostenuta da molti filosofi, è che in Occidente il crollo dei valori per cui si era disposti a morire porti, parallelamente, ad un attaccamento all’unico rimasto: il corpo (vivo), e il denaro come mezzo per mantenerlo. “Corpo contro denaro” è una sfida particolarmente succosa, soprattutto se si pensa che 1 milione di euro non potranno servire ad un morto!

Quali sono le differenze con i valori del passato? Si possono scoprire leggendo l’opera in prosa di Lermontov “Un eroe del nostro tempo“. Il tema del rischio è caro al poeta. Rischiare è la costante dell’eroe romantico del tempo di Lermontov, di nome Pechorin, ma anche della vita stessa del poeta, che con questo personaggio ha molti punti in comune. Pechorin non è “cattivo” per sadismo, non è un anti-eroe che rappresenta il Male assoluto, come uno Stavrogin. La malvagità è il risultato della noia, delusione: il suo “demone” era nato pieno di speranze, ma si sono affievolite come la fiamma di una candela, e allora tanto vale farle scoppiare: meglio bruciare in una grandiosa esplosione, che morire di noia e di vecchiaia. Così Pechorin decide di sedurre la principessina Mary, una giovane fanciulla dell’alta borghesia moscovita, al solo scopo di infastidire il suo amico, innamorato perdutamente della ragazza. Può capitare a tutti di mettere i bastoni fra le ruote a qualcuno per il solo gusto di provare un brivido, ma fino al punto di rischiare la vita? Pechorin verrà sfidato a duello dall’amico. Avrà la meglio, cosa che invece non accadrà a Lermontov stesso- secondo un altro straordinario caso di coincidenza tra la realtà biografica di uno scrittore e i suoi romanzi, Lermontov trovò la morte proprio in una sfida a duello, come descritto nella sua opera.

Veniamo al momento chiave del romanzo, nel racconto finale, “Il fatalista”, che ha un punto in comune con il film “Live!”: la roulette russa. Si dice che l’aggettivo “russa”, attribuito alla roulette, derivi proprio da quest’opera. In verità, non vi troviamo descritto il gioco macabro per cui nella pistola si inserisce un proiettile, poi si fa rullare il tamburo e si preme il grilletto. Il rischio che il personaggio del libro si assume è persino più grande. Vulich, un ufficiale serbo, provoca gli astanti, tra cui Pechorin, con una domanda subdola: “esiste la predestinazione?“. Egli è convinto di sì, ma Pechorin, per fare il bastian contrario, punta qualche rublo sul fatto che non esista e che il libero arbitrio abbia un ruolo dominante. Vulich afferra così una pistola dal muro, tra quelle cariche, e se la punta alla tempia tra lo sbigottimento dei presenti. Pecorin gli legge in volto la morte, e non si risparmia dal farglielo presente. La previsione non intimorisce Vulich. Preme il grilletto, ma, con enorme sorpresa, il colpo suona a vuoto. Per qualche strana ragione, la pistola si era bloccata. Sembra che abbia vinto lui: la predestinazione esiste, la previsione di Pecorin si è rivelata errata. Eppure, Pechorin ribadisce che Vulich morirà. Qualche ora dopo, quando tutti si sono separati, si viene a sapere che un ubriaco, imbattutosi casualmente in Vulich, l’ha ucciso senza motivo con una sciabola.

E’ paradossale che, nel momento della morte, Vulich perde e vince. Perde contro Pecorin, la cui previsione era veritiera, ma allo stesso tempo vince contro la sua scommessa iniziale, secondo cui la predestinazione non esiste, dimostrando con la sua morte il contrario. Ma che vittoria di Pirro, vincere morendo! Oggi chi rischierebbe di morire pur di dimostrare di aver ragione? Correggo: chi lo rischierebbe gratis? La morte non vale un principio, ma forse  vale 1 milione di euro.

Morire per caso o per volontà è il tema che compare anche ne i Demoni di Dostoevskij, nell’episodio del suicidio di Kirillov. L’atto supremo di volontà dell’uomo nichilista, che lo rende pienamente padrone del suo destino, è rappresentato dal porre deliberatamente fine alla propria vita, sostituendosi a Dio, al caso e al fato. Il giocatore fatalista di Lermontov si colloca un passo prima del nichilista radicale. Ha ancora speranza, insegue una chimera: quella di vivere senza fatica, di vincere un regalo da parte del mondo.

Il dramma di Lermontov è “borghese” in questo senso: l’eroe di quel tempo non sa più dove trovare il senso di un’esistenza dove niente pare impossibile, nemmeno espugnare il cuore di un’ambitissima e proibita principessa. Giocare d’azzardo con la morte è il capriccio di un damerino annoiato, allorché non esiste la fortuna, ma tutto è già determinato. E allora tanto vale giocare alla roulette russa. Tuttavia, il denaro nel romanzo di Lermontov non è neppure menzionato: Pechorin non si sarebbe mai sfidato per soldi, perché c’erano valori che non potevano essere comprati- l’onore, il gusto della sfida, la gloria. Il giocatore contemporaneo differisce da quello ottocentesco per il fatto che oggi persino la vita si può comprare. L’ideale, che era fine e mezzo, è svanito, mentre il denaro da mezzo è divenuto fine. Un fine del tutto fine a se stesso.

Resterebbe da uccidere solo il denaro, e allora il trionfo del nichilismo sarebbe completo. Quando non ci importerà nemmeno di lui, poche persone saranno disposte a morire. Ma quante a vivere?

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