Repin e il mistero di un ritratto inquietante

Dopo aver visitato per la prima volta la galleria Tretyakovskaya, c’era un quadro  di cui mi ricordavo, ma non potevo dire di saper qualcosa di lui. Si trattava di un ritratto. Non mi sovveniva più chi ne fosse l’autore (forse Repin?) e non avevo idea di chi raffigurasse. Di lui ricordavo solo che era un uomo paffuto, dal naso rosso da alcolista, dall’espressione indefinibile. Quel dipinto per me rimase indimenticabile. Qualcosa di quell’espressione restò incastonata nella mia memoria per molto tempo. Mi sembrò di scorgere quell’uomo in Russia, in vari luoghi, nei volti di varie persone. La sua espressione era allucinata, intensa. C’era qualcosa di inquietante in quella figura, senza poter dire dove, perché e cosa lo fosse.

Musorgskogo di Repin

Quando ricercai su Internet quel dipinto, e finalmente lo trovai sul sito ufficiale della galleria, non fui sorpresa nel constatare che l’autore era Il’ya Repin. Il mio pittore russo preferito (a voler fare i precisi, ucraino, perché nacque a Chuguev, nei pressi di Kharkhov) mi aveva colpito ancora, con gli sguardi dei suoi protagonisti, “terribili” in senso inglese di terrific, pazzeschi, o in russo “groznie” (impetuosi come una tempesta, tonanti, penetranti, pazzi). Potrei azzardarmi a definire Repin il Dostoevskij della pittura, perché alcuni degli eroi che ha ritratto sono uomini straordinari, ma in ogni senso, quindi anche negativo.  Guardando alla sua vasta produzione, si resta colpiti da certi volti che hanno qualcosa di inquietante: il ritratto del terrorista Karakozov nel momento della sua esecuzione, di Kanin nei “Battellieri del Volga“, il ritratto del pittore Myasoedov dall’espressione allucinata, il volto di Ivan il Terribile, quello di Kostomarov nel letto di morte…senza contare che lo stesso Repin aveva un volto molto particolare ed intenso.

Repin autoritratto 1
Autoritratto di Repin
Репин
Repin nel 1920

Il ritratto che mi aveva tanto colpito era quello del compositore Modest Petrovich Musorgskij, di cui poi appresi la storia. Conoscere la storia di un dipinto solitamente lo rende più interessante, rare volte non vi aggiunge nulla (e qui sorge la domanda: la vera arte riconosciuta universalmente dovrebbe essere bella senza contesto? Quanto il contesto influisce sull’apprezzamento di un’opera d’arte?). Nel caso specifico del ritratto di Musorgskij, non incrementò il mio già altissimo apprezzamento dell’opera, ma confermò e rafforzò l’intuizione che avevo avuto guardandolo, lasciandomi sgomenta.

Qualcosa mi aveva turbato in lui. Scoprii che quello che vi intravidi era un uomo morente, verso il quale io provavo rispetto, pietà e angoscia. Il ritratto era infatti degli ultimi giorni di un malato terminale. Nel suo naso rosso a patata avevo scorto i segni dell’alcolismo, e non avevo errato, in quanto morì proprio a causa di alcool e depressione; al contempo, fu un raffinato compositore, poco apprezzato dalla critica del tempo, che la malattia aveva sfigurato. Il dipinto fu realizzato in soli 4 giorni, in condizioni assai difficili, in un ospedale a San Pietroburgo. Il compositore morì soltanto 11 giorni dopo il ritratto. Lo sfondo è insolitamente chiaro, il che pone Repin all’avanguardia dei pittori del suo tempo (solitamente il fondo dei ritratti era scuro, come accade in Kramskoy). Questo chiarore dona leggerezza a Musorgskij, sempre più vicino al trapasso,e dunque chiaro, luminoso, congelato nell’eternità di quel momento delicato tra la vita e la morte. Repin aveva dunque coraggiosamente, e con straordinaria abilità, dato il poco tempo a disposizione, donato eternità terrena a chi stava per entrare in un’eternità incorporea. Aveva tracciato sulla tela le ultime fattezze del corpo di un uomo prima della perdita del suo corpo, sancendo così la sua presenza eterna nella mondanità, ma al contempo cogliendo un attimo peculiare e delicatissimo. Nel suo aspetto trasandato, stralunato e sciatto, Repin aveva cristallizzato l’attimo del trapasso. Negli occhi assenti del soggetto, assorti e allucinati, che non guardano lo spettatore ma qualcosa d’indefinibile e terribile, ma ormai di imminente certo, si coglie una decadenza, una rassegnazione e insieme un abbandono dolce, una trascendenza talmente forte, da essere comunicata persino ad uno spettatore distratto e ignaro della storia del dipinto.

Quel qualcosa che avevo scorto andava oltre il soggetto dipinto, lo attraversava. Repin aveva compiuto qualcosa di inaudito e impossibile: era riuscito a dipingere l’inesprimibile. A me, invece, era accaduto qualcosa di alquanto ovvio e dicibile. Avevo semplicemente visto, negli occhi di Musorgskij, la morte.

Musorgskogo di Repin
Ilya Repin, Ritratto di Musorgskij