Ospedali russi, che avventura!

Gli ospedali non mi mettono ansia. Se mai, tranquillità. Adoro i macchinari per le analisi. Riempitemi di elettrodi, fatemi una radiografia e mi renderete felice.

Ho accompagnato parecchia gente in vari ospedali della Russia, dell’Ucraina e del Turkmenistan. Ho visto ogni genere di ospedale, da quello pubblico, alla clinica privata, al pronto soccorso. Alcuni erano davvero fatiscenti, come uno a Donetsk, altri in ottimo stato. Ho parlato con medici affetti da cameratismo, altri da allarmismo, molti da menefreghismo. Ho visto gente piangere perché non voleva essere curata lì dentro, gente a cui era stato diagnosticato un infarto miocardico e invece era stress. Ho mercanteggiato con ospedali che tenevano in ostaggio una nostra collega: volevano il pagamento anticipato per curarla. Ho visto gente dover raccontare i suoi disagi alle parti intime, dottori fare domande imbarazzanti ai pazienti, e ho dovuto tradurre tutto. Tuttavia, a volte anche i migliori interpreti sbagliano. “Hanno detto di metterti il termometro in bocca”. “Anzi, no, mi sbagliavo, intendevano sotto l’ascella.” Troppo tardi!

Tutto questo mi ha fatto parecchio ridere. Fino a che non è toccato a me.

A Mosca mi sono ustionata, rovesciandomi una pentola di acqua bollente su una coscia. Il pronto soccorso è arrivato prontamente nell’università, ma la dezhurnaya (la signora custode al piano) aveva già provveduto al suo rimedio personale di cura ustioni: grattugiare una patata sulla ferita aperta con un attrezzo vecchio e non sterile, preso dalla sua camera e appena usato con lo stesso scopo per prepararsi la cena e limarsi le unghie. La setticemia, ad ogni modo, non mi ha portato via. I medici del pronto soccorso mi hanno sparato una puntura enorme di antidolorifico, e tanti saluti. Il giorno dopo sono andata a farmi cambiare la fasciatura al policlinico. Tornando a casa a piedi, la nuova fasciatura si è staccata. L’ho sempre detto che i cambiamenti inquietano.

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Ospedale pubblico di Donetsk

 

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Ospedale pubblico di Donetsk

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In Turkmenistan ho avuto un’emorragia ad un’ovaia. Non una cosa da poco. Ho rischiato di essere operata, il che mi avrebbe messo non poca ansia. Me la sono cavata con una dose mass
iccia di pastiglie e riposo. L’ospedale era gradevole e pulito. C’era un’enorme coda per essere visitata. Una coda fatta di abiti tradizionali variopinti, foulard colorati e pancioni di donne incinta. Quell’immagine ricordava un quadro, e quasi mi fece dimenticare che stavo rischiando il dissanguamento.

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Sala d’attesa ad Ashgabat, Turkmenistan

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La macchina per l’ecografia … era rotta. Niente paura: una in condizioni migliori mi attendeva in un’altra sala. Una donna turkmena mi spiegava il mio stato clinico, parlando in un russo stentato. Io le rispondevo in un russo altrettanto stentato. Le cure che mi diede furono efficaci. Niente più cisti alle ovaie. Grazie, Ashgabat!

A Sochi, mi toccò di nuovo. Dopo pochi giorni, accusai violenti problemi di stomaco. Non avevo mai avuto niente di simile. Notti in bianco, tremori, conati. Vennero a visitarmi in albergo. Mi condirono via con una puntura nel sedere. Il mal di stomaco passò, ma non ne capii la causa. L’intramuscolare, in compenso, mi fece camminare gobba con dolori alla schiena per 2 settimane. La seconda volta, il dolore allo stomaco e altri sintomi che sarebbe volgare riportare superarono la mia sopportazione. “Bisogna che tu vada in ospedale” mi dissero. Acconsentii, ed entrai a fatica in macchina. Sudavo freddo e tremavo.

All’accettazione del pronto soccorso mi conoscevano, ma di solito ero l’interprete dei malati. Ora ero interprete di me stessa. Descrissi i miei sintomi ad un medico generico.

“Accomodati qui fuori” mi disse sorridendo. Chiesi, perplessa: “sì, ma che cos’ho?” “Non ho idea, dovranno farti gli esami.” “Mi ricoverate?” chiesi, strabuzzando gli occhi. “Sì, ma non qui. Un’ambulanza sta arrivando a prenderti.” “E dove mi porteranno?” chiesi, sempre più allibita. “In una struttura che sta a un’ora e mezzo da qui. L’ospedale per le malattie infettive, altrimenti detto LAZZARETTO” disse quello, sempre sorridendo come se stesse parlando della ricetta della torta paradiso.

Confortante! Ma io ho solo un’intossicazione alimentare! Non è un’epidemia! D’accordo, attenderò l’ambulanza. La mia pressione è quella di uno zombie. Passano 15 minuti. 20. 30. 45. Il mio dolore aumenta. Chiedo cosa stia succedendo. “Adesso arriva l’ambulanza” mi dicono. Mi guardo intorno smarrita. La mia collega, ipocondriaca quanto me, che mi ha accompagnato per darmi sostegno morale, mi dice “Spero che arrivi presto l’ambulanza, perché non resisto più a vedere questa gente malata. Comunque, hai un aspetto terribile.” Il mio collega ucraino mi dice: “Sei in Russia, è normale. Anche da noi è così. Può metterci anche due ore.” “Dipende dal traffico?” chiedo, ansiosa. “No, da quanto li paghi. Senza soldi non si muovono, il paziente può anche morire.” Meraviglioso. Dopo un’ora e venti minuti in cui agonizzo su una sedia scomodissima della sala d’attesa, e vedo passare un cadavere in barella, la mia ansia raggiunge il picco massimo. In quel momento, l’ambulanza arriva.

Mi caricano sull’autoambulanza, mi fanno stendere su una barella. L’infermiera comincia a giocare con il mio braccio alla ricerca di una vena, bucandolo come un colabrodo. Il laccio emostatico dopo 5 minuti inizia a diventare molesto. In un russo disperato, le grido che mi sta facendo male, che trovi quella maledetta vena. Finalmente, la trova. Del viaggio ricordo i miei piedi contro una croce dipinta sulle porte posteriori dell’ambulanza, il sacchetto della flebo pendere danzando sopra la mia testa come una spada di Damocle, la pioggia scrosciare sul tetto e i discorsi su Sochi con l’infermiera, che si adoperava per distrarmi. Una sua amica ha un negozio di abiti italiani a Sochi, mi dice. Interessante. Le racconto tutto ciò che ricordo di me stessa, ovvero che sono un’interprete e che ho studiato russo a Mosca e che ritengo francamente di essere troppo giovane, per morire. Lei mi guarda con aria bonaria e compassionevole.

L’ospedale è in mezzo al nulla. All’interno è nuovo e pulito. Sono in camera da sola, ho ben due letti dove stendermi, ma è fantastico! Il primo giorno mi nutrono a flebo. Dal secondo, partono a portare pietanze varie. Il cibo non è niente male. Tanto più che paga l’assicurazione! Una minestrina di carote ha persino carattere. Il kompot, composta di frutta nella tazza di latta, è amabile. Do forfait sul pane spalmato di burro, con tutto il rispetto per la cuoca, ma ho appena avuto chissà cosa allo stomaco. Prendo regolarmente tre pillole, una gialla, una rossa, una arancione. Nessuno mi dice cosa siano.

Ogni tanto il medico viene a visitarmi. “Che cos’ho?'” chiedo. “Non si sa ancora, aspettiamo le analisi”. Aspettiamo pure. Arriva il giorno delle mie dimissioni. Non so ancora cosa mi è capitato. Mi spediranno il risultato delle analisi via mail. Sembra tutto nella norma. La diagnosi? Sospetta intossicazione alimentare, ma non possiamo esserne certi. Tanto meno io.

Non sono certa di cosa mi sia capitato. Non sono certa di come mi abbiano curato. Non sono certa di molte altre cose, tra cui la nocività dell’aspartame nella Coca Zero e l’esistenza di Dio. Sono però certa che le cure russe hanno sempre funzionato. Gloria agli ospedali russi!

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Ospedale di Sochi
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Ospedale di Sochi

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Ospedale di Sochi

10 Risposte a “Ospedali russi, che avventura!”

  1. bello !!!
    Lascia un retrogusto indefinibile.
    cmq grazie per il termometro sono esperienze indimenticabili

    1. Grazie a te per la fiducia nelle mie capacità di interprete…e per avermi fatto quasi piangere dalle risate! comunque la riprova della non pericolosità del termometro ascellare in bocca è la tua ottima salute! Ciò che non ammazza, fortifica!

  2. Beh, non che aver leccato 800 ascelle altrui sia stata un’esperienza gradevole, devo supporre, ma, certo, al peggio non c’è limite!

    1. Pensavo comunque che sapere che il termometro fosse stato impiegato, per lo più, sotto l’ascella, ti potesse confortare…. volendo dar credito all’ipotesi rettale, le cose sarebbero ben più insidiose. Certo che se avessero detto: “no! no! non lo metta in bocca, quello va nel c….” sarebbe stato ben peggio!!!!!

  3. Ciao Valentina, so che scrivi bene e leggerti è un piacere, però dopo questo articolo mi passa un pò la voglia di fare un viaggio in Russia. Ho viaggiato molto soprattutto in Asia e Africa, ma prima di avere mio figlio. Quindi ti chiedo: poichè vorrei fare un viaggio in Russia con il mio bimbo (9 anni) cominciando da Sanpietroburgo e Mosca…. veramente gli ospedali russi sono così poco efficienti?!

    1. Ciao Monica, grazie per apprezzare il mio blog. L’articolo riguardo gli ospedali russi ha un tono volutamente ironico e forzato, inoltre parla in particolare di ospedali in Ucraina e Turkmenistan, che in effetti, oggi più che mai, qualificare sotto il nome di “russi” è scorretto e potrebbe irritare non poche persone. Sono stata in ospedali anche a Sochi e Mosca, il livello di igiene e pulizia è senz’altro migliore che in Ucraina e l’assistenza è buona, così come l’attenzione verso il paziente. Gli ostacoli maggiori sono dati dalla barriera linguistica e dai pregiudizi degli europei nei confronti delle cure russe (sebbene usino medicinali del tutto analoghi ai nostri). Il sistema sanitario è a pagamento per gli stranieri. Con una buona assicurazione alle spalle penso che non avrai problemi a portare tuo figlio. Senza contare che Mosca e San Pietroburgo sono città paragonabili a New York o Milano da molti punti di vista, perciò sono senz’altro presenti ospedali all’avanguardia dal punto di vista medico ma anche estetico. Fossi in te non avrei nulla da temere in queste città (se sei stata in Africa penso tu sia pronta a ben peggio…). Io stessa, al di là del tono tragicomico dell’articolo, ho sempre ricevuto cure adeguate in Russia e non ho nulla da dire riguardo il trattamento che mi hanno riservato e la scrupolosità delle loro analisi. Ti consiglio di dare un’occhiata alle mie GUIDE di San Pietroburgo e Mosca, spero tu possa trovare consigli interessanti. Sono città meravigliose e sono certa che ti stupiranno per la loro modernità, maestosità e bellezza. Sono adattissime a bambini di qualunque età, magari ovviamente evita i periodi in cui la temperatura va sotto lo zero, perché sarebbe difficile fare lunghe passeggiate godendo dei bellissimi scorci e monumenti.

  4. Grazie Valentina per aver risposto 🙂 …andrò a leggere le tue guide sicuramente! Ma veramente a Sanpietroburgo l’acqua del rubinetto non è potabile?

    1. Sì, in tutta la Russia l’acqua del rubinetto non è potabile. Negli alberghi da 3 stelle in su dovrebbero essere presenti cooler con l’acqua potabile al piano o bottigliette nel minibar. Altrimenti consiglio ogni sera di fare scorta nei supermarket di bottiglie, perché è seccante svegliarsi al mattino e non poter bere neanche un goccio d’acqua!

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