Limonov di Carrère: un personaggio non comune

Si è parlato tanto della biografia, scritta da Emmanuel Carrère, di Eduard Savenko (in arte Limonov). “Limonov” (così battezzato dall’espressione “limonka“, лимонка, modo russo di chiamare le bombe a mano, nonché poi giornale punk fondato dallo stesso Limonov e altri sostenitori del partito dei nazbol= nazionalbolscevichi) è un antieroe controverso e underground, un uomo, tutt’ora vivente, il cui personaggio si confonde, e si compenetra perfettamente, con la persona, mischiando vita e arte, realtà e leggenda. Lo scrittore francese ne descrive la vita avventurosa, la mentalità dissacrante, senza troppi giudizi morali o personali. Si tratta di uno dei curiosi casi in cui una biografia ha reso celebre il personaggio cui è dedicata più di quanto non fosse noto il personaggio stesso. Eduard Limonov, dal canto suo- e c’era da aspettarselo- afferma di non ritrovarsi molto nel ritratto che di lui fa Carrère, riconoscendogli però il merito di “aver spiegato Limonov ai borghesi”. Quello su cui vorrei soffermarmi non è tanto sulla biografia in sé- interessante, ben scritta, dallo stile accattivante, scorrevole e veloce- ma su quello che il personaggio di Limonov ha rappresentato, e rappresenta, per la Russia e per la società in generale.


Limonov, per come lo tratteggia Carrère, nasce destinato al fallimento ma si emancipa e riesce (dopo aver toccato il fondo ed esperito il degrado della vita da artista squattrinato ed incompreso) a vedere i suoi libri pubblicati da case editrici rispettabili e con buone tirature. Del resto, però, questa sua impronta iniziale non è qualcosa di cui si libera definitivamente (come una J.Lo che, orgogliosamente e in modo, se vogliamo, un pò ridicolo, canta di essere ancora “la Jenny from the block”), perché per definizione Limonov non potrà mai far parte di quel jet set di uomini di successo russi, parigini o newyorkesi che, in fondo, idolatra ma aborre anche. E della sua frustrazione per essere uno scrittore “minore, underground” (la cui notorietà non può certo essere paragonata a quella dei suoi antagonisti, gli odiatissimi Brodskij e Solzhenitsyn) fa un marchio di fabbrica del suo personaggio (il suo “Diario di un fallito” lo testimonia). Il fallimento è la sola molla che può far scattare la voglia di rivalsa, la ribellione, il genio. Cinico, crudele, dissoluto, eppure sempre e comunque schierato dalla parte dei deboli (dei “falliti”, appunto), Limonov è un uomo non comune, ma neppure straordinario (per rifarci a Dostoevskij, al suo Raskolnikov di Delitto e castigo). E’ politicamente scorretto per partito preso, sempre e comunque “contro”, “sporco”, destabilizzante, sopra le righe, estremo in ogni sua espressione, dal suo bizzarro modo di vestire, al modo passionale e drammatico in cui ama le sue donne. Qualunque cosa gli accada, vorrebbe essere ricordato come nella fotografia (qui sotto), con la sua giacca patchwork e i capelli lunghi, a fianco della sua prima moglie, seduta accanto a lui nuda, la splendida aspirante modella con cui emigra a New York abbandonando l’Unione Sovietica, perché si dica di lui: “ecco, ha conquistato una ragazza così”.

Stregato dalla grandezza, dalla gloria, dal desiderio di lasciare qualcosa all’umanità, il suo anelito ad accedere all’Olimpo degli “uomini straordinari” lo rende però pericolosamente, nella pratica, più simile a un Raskol’nikov che a quegli uomini straordinari cui Raskolnikov stesso vorrebbe ispirarsi, se non, come riporta Carrère, addirittura ad uno Svidrigajlov (personaggio più vizioso, nichilista e dissoluto di Delitto e Castigo, che confessa di aver violentato una ragazzina). Limonov oscilla tra l’essere ripugnante e affascinante, patetico e vincente, scrittore (intellettuale?) e soldato, mente e braccio, alla moda e fuori moda. Bolscevico fascista, nazionalista cosmopolita, russo emigrato dall’URSS che finisce poi per tentare di restaurare dopo il suo crollo, conquista donne bellissime e giovani, che puntualmente lo lasciano o finiscono male, per poi ritrovarsi a fare il domestico da un facoltoso americano; passa del tempo in carcere tra assassini, ladri e stupratori, ma non sarà mai uno zek (carcerato, appunto) come gli altri è l’unico a poter riconoscere il designer di lusso di alcuni lavandini della prigione), né un filosofo o santone come le sue ultime frequentazioni, simpatizzanti per meditazione e buddhismo. Scandalizza e incanta il mondo borghese quanto basta con le sue auto-biografie romanzate che raccontano in prima persona le sue vicissitudini tra sbornie, miseria e “farselo mettere in c…” da barboni neri a New York (nel suo primo romanzo pubblicato, “Io, Edichka“, che in Francia esce con il titolo di “Il poeta russo preferisce i grandi negri” e che ricorda quello dell’altro scrittore maledetto sovietico, Venedikt Erofeev, che nel suo Mosca-Petuskhki straparla di sbornie e insensatezza della vita nel tragitto sul treno tra città e periferia), ma senza mai conquistarli del tutto; partecipa alla rivolta alla Casa Bianca contro Eltsin per restaurare il comunismo sovietico, ma quando si assenta per qualche ora e vi fa ritorno, le sue porte sono ormai chiuse; combatte al fianco di discutibili criminali di guerra serbi, ma non è chiaro in che modo e fino a che punto; il suo giornale punk “Limonka” era letto soltanto da un manipolo di musicisti rock ed emarginati della periferia di Nizhnij Novgorod; il suo partito sovversivo dei nazbol, per cui viene incarcerato e processato, era composto, in fin dei conti, da 5 o 6 giovani di periferia ritirati sui monti Altaj per allenarsi. Quella di Limonov, cioè, è una rivoluzione dei sottofondi, destinata a rimanere tale in un Paese dove l’opposizione a Putin è puramente formale.

Carrère, mentre descrive Limonov, tratteggia la storia dell’Unione Sovietica e del suo crollo, immergendoci in un’atmosfera suggestiva e interessante, dal suo punto di vista disincantato e lucido. Forse dà un pò per scontato che già si sappia qualcosa della storia della Russia degli ultimi 60 anni, della mentalità, della realtà delle periferie russo-ucraine, tuttavia anche al lettore meno informato al riguardo verranno dati molti spunti interessanti e sufficientemente esaustivi. Carrère parla di samizdat (libri auto-pubblicati clandestinamente durante l’Unione Sovietica) oligarchi russi, di KGB, di criminali russi (vory v zakone) nello stile di Educazione Siberiana, di carceri, di scrittori e poeti, di zapoy (quella tipica sbronza russa che dura giorni e giorni di delirio, in cui la realtà si mischia all’immaginazione), di ambienti artistici dei bassifondi russi e delle grandi città. Già questo rappresenta un motivo per leggere il suo libro. Ma ancor di più, Carrère ci parla di un’idea semplice alla base di tutto, quella che per stereotipo contraddistingue il “fascismo” (in un’accezione trasversale ed estremamente ampia, che lo vede riproporsi sotto diverse forme in diverse epoche storiche, sin dall’antichità): l’idea che gli uomini siano diversi tra loro, che esistano uomini comuni e superuomini; concezione che, secondo Carrère, viene ribaltata dal cristianesimo, con il motto “gli ultimi saranno i primi”. Ebbene, Limonov vuole essere un superuomo, eppure, contemporaneamente, è il paladino degli “ultimi”. E’il superuomo fallito, che del suo fallimento fa un emblema. E forse Limonov, per la Russia, è proprio questo: quell’anelito di ribellione che in Occidente ormai finisce per annoiare o per lasciare indifferenti (perché inflazionato, vecchio, perché vi viene dato tanto risalto quanto al movimento conservatore). E’il gladiatore che non si batterà mai nel Colosseo con l’Imperatore, ma che continuerà a manifestare la propria irriverenza nei teatri delle province, finché vive, finché può. E la Russia è anche questo, è, dietro la propaganda solenne e il trionfo della maggioranza, il dramma oscuro e toccante delle minoranze, il lirismo dissonante e magnifico degli “umiliati e offesi”, del sottosuolo.