L’Anna Karenina del Volga: Ostrovskij precursore di Tolstoj?

Grazie al prezioso suggerimento di un caro amico, ho letto il dramma di Aleksandr Nikolaevich Ostrovskij, intitolato “L’uragano” (in russo: гроза, grozà), pubblicato nel 1859. Il drammaturgo moscovita è poco noto, nonostante abbia prodotto una grande quantità di opere teatrali.  “L’uragano” è ambientato nella cittadina di Kalinov, sul Volga. I protagonisti sono i kuptsi, mercanti, e il loro mondo gretto e chiuso. L’eroina è la giovane e bella Katerina, sposata a Tichòn Kabanov, il figlio dell’opprimente mercantessa vedova Kabanova, una donna- gendarme, dai toni autoritari, dal carattere perentorio e arcigno e dalla mentalità quadrata e radicata nelle tradizioni.

Si potrebbe accostare Katerina ad Anna Karenina. Mi spingerei anche oltre: dato che l’opera di Ostrovskij è precedente a quella di Tolstoj (pubblicata per la prima volta nel 1877), potrei azzardare che il primo scrittore sia uno straordinario precursore del celeberrimo Lev Nikolaevich. Vediamo perché.

Katerina vive un dramma interiore perché è innamorata del giovane Boris Grigorevich, arrivato da Mosca, nipote di Savel Dikoj, un importante personaggio della città, autoritario e avido. Nell’opera si respira il clima oppressivo e bigotto del mondo dei mercanti dell’epoca, delle loro credenze, la loro devozione religiosa ma al contempo l’impossibilità di uscire da schemi sociali predefiniti, dalle logiche grette della loro cupidigia (poco più che sopravvivenza) e del buon costume. La vittima predestinata è proprio Katerina e il suo sentimento ingenuo e puro verso il giovane Boris. Come in ogni tragedia, Katerina non riesce ad opporsi al suo destino e, complice la sorella del marito, Varvara, si incontra furtivamente con Boris di notte, nei giorni in cui il marito Tichòn è assente dalla città per lavoro. La sciagura che non è riuscita ad evitare la porterà ad un inevitabile tormento, spingendola a confessare subito il suo tradimento, fino a commettere suicidio, gettandosi nelle rocce del Volga.

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Gerasimov, illustrazione del dramma “L’uragano”

Si vede bene come la storia di Katerina ha molto in comune con quella di Anna Karenina: l’adulterio di una donna sposata e il suo suicidio finale. Mentre nel capolavoro di Tolstoj assistiamo al lento evolversi della coscienza di Anna e della sua endemica incapacità di essere felice e di perdonarsi ciò che ha fatto, ne L’uragano tutto ha tempi concisi e serrati, fragorosi e tonanti proprio come quelli dell’uragano che minaccia di abbattersi sulla cittadina, e che gli abitanti temono e credono di percepire nelle nubi nere. In un magistrale parallelo tra la coscienza di Katerina, i pregiudizi e gli implacabili giudizi della società e i fenomeni naturali, ovvero soprannaturali perché voluti da Dio (l’uragano, appunto), la tragedia si compie nel giro di pochi giorni. Il marito di Katerina non è che una flebile vittima della madre e dello spirito conservatore che essa incarna. Incatenato nella sua stessa casa, intrappolato nei doveri e nei cliché da marito imposti dalla madre, avrebbe persino perdonato la sua Katrina per l’adulterio, ma ciò non sarebbe servito a nulla, poiché la vera responsabile del suicidio, a sua detta, è proprio sua madre. “Mamma, siete voi che l’avete uccisa! Voi, voi, voi!” grida Tichonov, additandola. La morte è vista da Katerina come l’unica soluzione ad un dramma ormai irreparabile, come un’invidiabile condizione di quiete, ora che la casa (luogo per eccellenza rassicurante e sereno) è divenuta per lei peggiore di una tomba. “Una piccola tomba sotto un albero… oh sì, come sarebbe bello! Il sole la riscalda, la pioggerella la rinfresca… in primavera l’erbetta la ricopre, un’erbetta tenera tenera…“. E’ proprio nelle case, dietro i chiavistelli ben chiusi, che si consumano i peggiori drammi, in una lotta famigliare di soprusi tra la vecchia generazione tradizionalista e la nuova generazione, a detta degli anziani, screanzata e senza valori. Inizialmente Katrina teme la morte per un’unica ragione: che se arrivasse all’improvviso, come un uragano, la coglierebbe senza che abbia avuto modo di confessare i suoi peccati e di risolverli. Dopo aver tradito il marito con l’amato Boris, invece, assistiamo al paradosso per cui la morte diviene l’unica possibilità desiderabile per Katrina, ora che ha scelto la via del peccato e l’ha portata al suo vertice estremo, da cui non è possibile tornare indietro. Una vecchia signora aveva predetto la tragedia (una sorta di pazza del villaggio, accostabile al vecchio indovino cieco Tiresia dell’Edipo Re). La sua voce è quella dell’uragano, le sue profezie funeste sono intrise di mentalità cristiana, per cui la bellezza non è un dono ma una colpa, una tentazione del Diavolo. Imbattendosi in Katerina, tuona: “la bellezza è la nostra rovina! Rovina te stessa e induce in tentazione gli uomini: come puoi gioire della bellezza? Quanti, quanti uomini trascini al peccato!…Non si sfugge a Dio! Tutti brucerete nel fuoco eterno!“.

Simbolico il fatto che il corpo di Katrina sia recuperato nel fiume da Kuligin, un orologiaio visionario che passa il tempo a studiare il moto perpetuo. “Eccovela, la vostra Katerina! Fate di lei ciò che vi pare! Il suo corpo è qui, prendetelo. Quanto alla sua anima, adesso non è più vostra. Ora è dinnanzi ad un Giudice più misericordioso di voi...”. Nei suoi discorsi utopistici, staccati dalla realtà e ottimistici, e nel suo denunciare la colpa della rigidità del paese che ha condannato Katrina spingendola al suicidio, si intravede l’unico eco di speranza lasciato dall’opera. Non è un caso che Kuligin sia un orologiaio. Lo studio del tempo, la meditazione, la saggezza rappresentata dalle lancette e dai loro meccanismi simboleggiano l’unica via d’uscita all’oppressione della mentalità chiusa di paese. Forse soltanto un libero pensatore come Kuligin potrà fermare l’abbattersi di altri uragani: mostri che sembrano piovere dal cielo, ma che sono originati dall’intransigenza e dall’ottusità dei giudizi severi dei mercanti, che puntano il dito verso l’alto, usando il vessillo del cielo per punire peccati che loro stessi, e nessun Dio, hanno stabilito come tali. Per citare nuovamente il mio amato De André, “e non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventato ci costringe a sognare in un giardino incantato“.

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Gerasimov, illustrazione del dramma “L’uragano”/2

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Gerasimov, illustrazione del dramma “L’uragano”/3