La Terra gira intorno al Sole. No, scherzavo.

Giovani soldati ucraini, con mogli e figli, vanno a combattere nei battaglioni di volontari a Donetsk e dintorni, per difendere l’indipendenza del Donbass o l’integrità territoriale dell’Ucraina. Saltano in aria e i loro corpi mutilati vengono gettati nelle fosse comuni, irriconoscibili, contrassegnati da un numero. Soldati americani, siriani, israeliani vanno in guerra di loro spontanea volontà, convinti di fare cosa “buona e giusta”. Donne e civili islamici si fanno esplodere per strada o sui mezzi pubblici per portare avanti la loro lotta. La redazione del Charlie Hebdo continuava a pubblicare vignette offensive sapendo che certi islamici prima o poi gliel’avrebbero fatta pagare, per amor di libertà d’espressione. La madre dei kamikaze è sempre incinta. Davvero chi va a morire per la patria o per un’idea può essere definito un eroe? Chi imbraccia il fucile, lancia granate, si getta volontariamente in balia dei proiettili è un modello da imitare? Oggi è ancora ritenuto ammirevole chi pone la propria e altrui vita su un gradino inferiore rispetto ad un ideale?

Mettiamo in luce la definizione di eroe. Pensiamo all’eroe del mondo greco, dell’epica. Si tratta di un prode guerriero, spesso un semi-dio, che difende la sua patria e la sua famiglia, pronto a morire per loro- come Ettore, ad esempio. I suoi valori sono  il coraggio, l’astuzia, la forza. In generale, l’eroe è colui che è pronto a sacrificare se stesso per il bene comune. Il grosso ed evidente problema è stabilire di volta in volta quale esso sia. Poiché a stabilirlo, presumibilmente, è l’eroe stesso, dunque il singolo, è pressoché impossibile che esista un gesto universalmente riconosciuto come eroico. Si sa che mors tua, vita mea, e che molto difficilmente il bene di un gruppo di individui non va ad intaccare in maniera direttamente proporzionale quello di altri gruppi. Per dirla in termini economici, l’ottimo paretiano è una condizione tutt’altro che semplice da realizzare. Il mondo, nel corso della storia, ha pullulato dunque di migliaia di eroi parziali, mai assoluti, eroi di piccole realtà, che dal punto di vista di altri erano visti come demoni, martiri, terroristi o folli.

Il punto è stabilire se esista un valore statisticamente più forte degli altri, maggiormente condiviso. L’auto-conservazione potrebbe esserlo? A mio avviso c’è da sperare che sia condiviso dalla maggior parte delle persone, per il semplice fatto che chi rispetta la propria vita, generalmente, è portato a rispettare quella altrui.

Ho seguito un simpatico dibattito di Gianluca Nicoletti alla radio, che cercava di spiegarsi il boom della serie televisiva The big bang theory. A giudicare dal successo di un personaggio come Sheldon Cooper e i suoi amici nerd, vittime di bullismo da parte dei  compagni di scuola, “sfigati” con le donne, alienati e fisicamente deboli, antisportivi, chini sui libri e per nulla cool, sembra che nel mondo contemporaneo stia cambiando il concetto di vincente, dunque, se vogliamo, di eroe. Se il vecchio eroe è sempre stato il maschio Alfa, il nuovo eroe sta forse diventando un nerd, o più in generale uno scienziato, uno studioso, un uomo vulnerabile? In fondo, figure professionali esperte in ambito informatico e scientifico sono e saranno sempre più richieste. Del resto è vero che oggi il vincente è un tipo come Zuckerberg e altri stuoli di nerd che creano app come Whatsapp, che oltre a renderli milionari, rivoluzionano il modo di comunicare. Alla luce di tutto ciò, possiamo ancora definire eroe un uomo sprezzante del pericolo, lontanissimo ormai dalla mentalità occidentale (italiana in particolare), che crede ciecamente in un’idea ed è disposto ad andare contro tutto per portarla avanti? Il sacrificio deve per forza implicare la morte? Non è altrettanto apprezzabile chi dedica la propria vita alla ricerca, a combattere le malattie, a migliorare la qualità della vita propria e altrui, senza troncarla a trent’anni ma sperando umilmente di arrivare ai novanta senza l’Alzheimer per continuare ad apportare un piccolo contributo al miglioramento della sua specie?

Siamo davvero sicuri che il coraggio, la coerenza, la determinazione nel credere in qualcosa siano un valore assoluto? Prendiamo il buon vecchio Galileo. Messo di fronte alla possibilità di rimetterci la pelle, fu costretto ad abiurare davanti alla Chiesa riguardo il suo sostegno alla teoria copernicana. Il suo comportamento è generalmente ritenuto pavido, debole, deprecabile. Io azzardo che egli sia un eroe non solo indipendentemente dalla sua abiura, ma anzi, anche perché ha abiurato. Non è forse una scelta tutt’altro che sciocca quella di negare ciò in cui si crede, che si ritiene del tutto evidente, che per anni si è studiato, allo scopo di salvaguardare la propria vita? Un uomo di scienza, che possa definirsi illuminato, è del resto anche colui che mette continuamente in discussione le sue tesi. (Certo, nel caso specifico di Galileo, abiurare significò semplicemente dar ragione ai dementi, come si fa quando un cocciuto ignorante ci assilla pensando di aver ragione, e noi diciamo “sì, sì, ok. Il Sole gira attorno alla Terra, hai ragione tu”. Fate come volete, ma lasciatemi in pace). Se consideriamo che Einstein, uno dei padri della meccanica quantistica, ha poi evidenziato che si trattava di una teoria errata o non completa con il suo paradosso del 1935, assieme a Podolski e Rosen; che Planck, Schrodinger e molti altri scienziati, che hanno dato un enorme contributo a questa teoria, l’hanno poi rinnegata definendola incomprensibile e addirittura pentendosi di essersi dedicati al suo studio, si capisce bene come la coerenza e l’attaccamento morboso alle proprie teorie sia tutt’altro che intelligente e costruttivo a livello scientifico. Il presupposto stesso della scienza è quello di essere falsificabile.

Al contrario della scienza, la fede è dogmatica. Cristo al processo di fronte a Ponzio Pilato se ne guarda bene dal dire: “Ok, scherzavo, non esiste affatto un unico Dio e sicuramente, se esistesse, non è certo mio padre”, e proprio perché muore per ciò in cui crede diviene un eroe. Ma se il Cristo avesse “abiurato”? Che tipo di mentalità avrebbe avuto l’uomo nel corso dei secoli? L’uomo senza fede potrebbe essere definito un eroe, potrebbe compiere ugualmente rivoluzioni? Chi combatte solo con il pensiero e le parole ma è pronto a gettare le proprie “armi di carta” alle ortiche se viene minacciato di morte, è un eroe o un cagasotto? Se il concetto di rivoluzione implica portare qualcosa di nuovo nel mondo, indipendentemente dal dover per forza morire per esso, io credo di sì. Avere qualcosa da dare al mondo presuppone l’essere vivi. Solo chi non ha nulla di intelligente o interessante da dare è costretto ad uccidersi per portare un messaggio. E’ facile essere eroi mettendo in gioco la propria vita, è tutto gesto e niente contenuto, ma quanti uomini nel corso della storia sono invece riusciti a cambiarla progressivamente, da vivi, con le loro teorie?

Come provocazione finale, mi permetterei di concludere che, se essere pacifisti è in un certo senso contro natura (perché l’uomo è generalmente portato ad assumere atteggiamenti bellicosi per difendere il proprio interesse), ancor più rivoluzionario, e dunque contro la storia e la religione (cattolica e non solo), sarebbe sostenere che la morte per ciò in cui si crede, il sacrificio e la fede non siano affatto valori da perseguire, ma al contrario ottusi impedimenti al progresso e all’evoluzione della specie.

iliade

einstein galileo

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