Il mistero del verbo essere in russo

Dopo anni di tormenti al riguardo, ho finalmente risolto uno degli arcani riguardanti la lingua russa che mi assillavano. Si tratta della curiosa questione dell’assenza del verbo essere (быть) al presente (eccetto che nella forma della terza persona singolare, есть, “c’è”), sostituito da un trattino in forma scritta, e semplicemente tralasciato nelle conversazioni orali. Ad esempio, in russo, “io sono Anna” si dice я- Анна (“io Anna”, letteralmente). Tale forma a chi è italiano potrebbe suonare primitiva, ma il problema che mi sono sempre posta non sta in questo, piuttosto nel fatto che il concetto filosofico dell’essere diventa così intraducibile. Come affermare filosoficamente “io sono”? Come tradurre in russo, ad esempio, il celeberrimo motto del filosofo Descartes, “cogito, ergo sum?” “Penso, dunque…?” L’alternativa dell’utilizzo del verbo сушествовать (esistere) non mi pareva soddisfacente. Perché esistere non è essere: si può limitarsi ad esistere oppure essere.

Il concetto di essere è largamente impiegato dalla filosofia, sin dall’antichità. Basti pensare a Gorgia di Lentini, il filosofo greco del 400 a.C. che affermava che nulla esista, giocando sui sofismi generati dai concetti di essere e non essere. In russo, l'”essere”in senso filosofico attualmente è traducibile con il termine: сущее- la radice, dunque, è quella di сушествовать, esistere. Le cose diventano però più complesse nel momento in cui al concetto di essenza si vuole associare quello di individuo- in cui si vuole affermare di essere in prima persona.

Un gentilissimo lettore russo, di nome Vitalij Romanov, mi ha finalmente rivelato come ovviare a questo impasse. Ringrazio in questo senso anche un’altra lettrice, Olga Patrina. Ebbene, mi hanno rivelato che nell’antica lingua slava, da cui deriva il russo moderno, esisteva in realtà anche una forma per la prima persona del verbo essere, ovvero: е́смь (esm’). Questa formula si può trovare nei libri antichi, ad esempio nella Bibbia, o nelle iscrizioni.

“Я мыслю, следовательно, я есмь”. Questa sarebbe dunque la traduzione corretta di cogito, ergo sum.

L’espressione in slavo antico «аз есмь» (“io sono” in italiano, ἐγὼ εἰμί in greco, in russo moderno traducibile come это- я) in lingua ebraica è in realtà un nome: il nome con cui Dio si è rivelato a Mosè ai piedi del monte Oreb (Sinai), noto per iscritto come il sacro tetragramma- la sequenza delle quattro lettere ebraiche che compongono il nome proprio di Dio e che gli Ebrei ritengono troppo sacro per poter essere pronunciato. Dunque, il nome biblico di Dio “io sono” era noto al popolo di Israele, ma d’altra parte era proibito pronunciarlo.

Nel Vangelo di Giovanni, il Signore, di fronte agli increduli Giudei che osservano la parola del profeta Abramo, ormai morto, pronuncia questa frase: прежде нежели был Авраам, Я есмь, “prima che fosse Abramo, io sono”. E’interessante notare come venga qui usata l’espressione “sono”, al presente e non al passato, proprio per indicare il nome di Dio e il fatto che il suo “essere” sia slegato dal tempo. Avrebbe potuto dire: “prima che fosse Abramo, io ero”, invece viene usato il presente, un presente senza tempo. Dio, dunque, fa una promessa ai credenti, ovvero quella di essere e di essere sempre stato. In un’ottica di fede in Dio, l’esistenza umana è dunque percepita come garantita e basata sull’esistenza di Dio. L’uomo, al di fuori di Dio, non è (аз несмь, contrapposto ad аз есмь: “io non sono”), in quanto l’esistenza diviene estremamente difficile da provare senza le solide fondamenta di Dio a garantirla e originarla. Ci si può solo affidare alla propria percezione, al proprio pensiero: torniamo al “cogito, ergo sum” di Descartes, ove però, nuovamente, si presuppone che il pensiero umano sia basato su percezioni soggettive: non si riesce ad uscire dal fenomeno kantiano, dal soggettivismo, o dal “velo di Maja” di Schopenhauer.

E’chiara dunque l’importanza dell’espressione del termine “sono”, dell’essere, che nella lingua russa moderna è andata scomparendo. E mi permetto di azzardare che forse la componente sacra (biblico-ebraica) possa essere alla base di questa misteriosa sparizione, come se quell’affermazione, “io sono”, contenesse il nome di Dio, e fosse dunque troppo sacra per poter essere pronunciata invano, nelle quotidiane conversazioni. Oggi, in russo, per poter pronunciare la frase io sono, tu sei, si può usare semplicemente la terza persona e dire “я есть, ты есть”…. (“io è”, “tu è”, letteralmente), come se di se stessi si potesse parlare solo in terza persona, perché la prima persona, di fatto, è già occupata da qualcosa di troppo grande e nobile per poter essere ripetuta e menzionata nella mondanità; come se l’essenza, la percezione del sé, dell’esistenza soggettiva, fosse inghiottita in un ignoto universo, inafferrabile e dunque indicibile, assieme all’impronunciabilità del concetto di divinità.