Dio per i russi e non solo

Pensiero e linguaggio sono strettamente collegati. Studiando le etimologie delle parole è possibile comprendere qualcosa in più sulla loro genesi e su come siano intrecciate ai concetti.

È interessante osservare come nell’etimologia della parola “Dio” sia racchiusa la concezione filosofica intorno ad esso. Vediamo come in Russia la concezione di Dio si riflette nella terminologia e confrontiamola con quella di altre lingue.

In russo la parola per “Dio”è Бог (“Bog”, pr. “Bokh”), termine di origine slava, derivante dal gruppo indoeuropeo. Secondo i linguisti, è simile al sanscrito “Bhaga”, che significa “colui che dona, concede”, a sua volta derivante da “bhagas”, felicità. In russo, il prefisso dà origine a molte altre parole, tra cui богатство (bogàtstvo), “ricchezza”. Connesso al termine “Dio” c’è dunque concetto di condivisione di ricchezza, pienezza dell’essere, beatitudine, elargite a tutte le creature del cosmo.

La parola greca per Dio, theos, ha etimologia incerta: secondo Gregorio il teologo deriva dal verbo ethein, “bruciare, illuminare”, connesso ai versi biblici per cui Dio “è fuoco bruciante, è geloso” ed “è luce”. Secondo Platone, invece, deriverebbe dal verbo ethein, fuggire, ad indicare che i primi abitanti della Grecia adoravano le divinità tipiche del mondo barbaro e primitivo: il Sole, la Luna, il cielo. Notando che questi elementi erano sempre in movimento, hanno connesso con l’idea di Dio quella di qualcosa che fugge, che si sposta. Infine San Giovanni Damasceno vede connesso al concetto di Dio quello di contemplazione. Dio è il contemplatore che vede ancor prima di aver ricevuto l’esistenza (si veda l’approfondimento del Contemplatore…).

Nelle lingue nordiche (tedesco e inglese) l’etimologia deriva da “Gott” che significa cadere (nel senso di: cadere nella fede, nel culto, esser travolti dalla luce divina, come l’apostolo Paolo sulla via di Damasco, e cadere immediatamente a terra). Allo stesso modo, nelle lingue di derivazione latina (tra cui l’italiano) il termine deriva dal latino Deus (a sua volta collegato ai termini, sempre latini, di divus, “splendente”, e dies, “giorno”), di radice indoeuropea. Il termine “Dio” è connesso con il concetto di “luminoso, splendente, brillante, accecante”, collegata ad analogo significato con il sanscrito  dyáuh. Lo stesso vale per il greco antico, ove il genitivo di Ζεύς [Zeus] è Διός [Diòs], per il sanscrito  deva.

Il nome ebraico antico per Dio, Yaweh (Geova), deriva dal verbo hayah, “io esisto”, non soltanto nel senso statico di essere, ma in quello dinamico di divenire: Dio è un super essere mutevole e immutabile che sta sopra tutte le cose, che è e diviene, è il tutto. In seguito, il nome di Dio è divenuto, per la religione ebraica, impronunciabile, poiché nessuna parola sarebbe in grado di descriverlo e abbracciarlo degnamente: al suo posto vi è il tetragramma YHWH. Dio è dunque qualcosa che si percepisce nell’intimo, nell’interiorità e che non può essere detto tramite il verbo.

Per la religione musulmana, il termine Allah, creatore ex nihilo dell’universo, è quello con cui Dio si definisce nel Corano. La radice è quella arabo-semitica di l-h- che significa divinità, la stessa dell’ebraico e biblico Elia, Elohim, Eloah. Allah è concepito come Dio globale che trascende le differenze tra le varie religioni.

Osservando queste diverse etimologie, si vede come vi siano altresì molti punti in comune tra le varie religioni, antiche e moderne. Mentre il mondo occidentale cristiano punta sul concetto di luce, quello russo fa leva sul concetto di ricchezza e di dono; più filosofici ed intimistici sono invece i concetti di divinità ebraica e musulmana.

Nella Russia dell’Ottocento il concetto cristiano di Dio come colui che elargisce doni, dona  ricchezza all’interiorità dell’animo, di Dio come arricchimento spirituale è molto forte. L’Ottocento però, come sappiamo, è anche il secolo in cui si diffonde il nichilismo russo e il crollo di valori e della fede. Dostoevskij nei suoi romanzi, con il concetto di: “se non c’è Dio, allora tutto è permesso” evidenzia il pericolo del crollo della fede, ovvero il trionfo del nichilismo negativo, del delitto, del Male. Nella nuova Russia novecentesca senza Dio c’era bisogno di un nuovo sistema di valori illuminato, che fosse scevro da superstizioni e religione, ed ecco la Rivoluzione d’Ottobre, ecco Lenin provare a dare una risposta: si può vivere senza Dio e comunque credere nei valori, perseguire il Bene. La Russia odierna, privata anche dell’ultimo ideale illusorio del comunismo, ha fatto pace con Dio, e procede a tentoni tra tradizione e innovazione. Il suo Dio è multiforme, più mondano e concreto: talvolta si chiama Putin, talvolta rublo, altre volte è la potenza della sua storia e cultura ad affermarsi, e con essa la meraviglia della sua spiritualità, di cui resta l’oro splendente nelle cattedrali, la devozione antiquata delle donne nelle chiese ortodosse con il fazzoletto.

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