Dio esiste? Chiediamolo ad Ivan Karamazov

Dio esiste? Proviamo a chiederlo ad Ivan Karamazov.

Il tormentato personaggio creato dal genio di Fedor Mikhailovich Dostoevskij in una delle sue opere migliori in assoluto, I fratelli Karamazov, ci fornisce una tra le migliori argomentazioni sulla non esistenza di Dio.

Il concetto di Dio è fortemente intrecciato, nella concezione di Dostoevskij, a quello di immortalità. Dio è la sola garanzia di una vita oltre la morte, dell’immortalità dell’anima. L’immortalità (in russo: бессмертие, bessmèrtie) è la massima aspirazione dell’uomo, il fine ultimo di ogni azione e l’unico motivo per cui non ci si uccide a vicenda senza alcun criterio. Il problema è che, stando ad Ivan Karamazov, non esiste!

Seguiamo il dialogo tra Fedor Pavlovich Karamazov, padre dei tre fratelli, e Ivan e Aleksey:

-Ivan, dimmi: Dio esiste oppure no? Ma parla sul serio! Ho bisogno che tu risponda seriamente (qui sta parlando Fedor Pavlovich)

-No, Dio non esiste.

-Aleksey, Dio esiste?

-Dio esiste.

-Ivan, e l’immortalità esiste, c’è qualcos’altro dall’altra parte, anche qualcosa di piccolo, minuscolo?

-Non esiste neanche l’immortalità.

-Di nessun genere?

-Di nessun genere.

-Vale a dire lo zero assoluto, oppure c’è qualcos’altro? Forse esiste qualcosa di diverso? Sarebbe pur sempre qualcosa!

-Lo zero assoluto.

-Aleskha, esiste l’immortalità?

-Esiste.

-Sia Dio che l’immortalità?

-Sia Dio che l’immortalità. In Dio c’è anche immortalità.

-Uhm… è più probabile che abbia ragione Ivan. Oh signore, pensa solo a quanta fede ha sprecato l’uomo, quante forze ha sciupato invano per questo sogno, e ciò da migliaia di anni ormai! Chi si prende gioco in questo modo dell’uomo? Ivan? Per l’ultima volta, e in maniera decisiva: c’è Dio oppure no? Per l’ultima volta!

-E per l’ultima volta vi dico di no.

-Allora chi si prende gioco dell’uomo, Ivan?

-Il diavolo, forse- rispose Ivan Fedorovich sorridendo.

-E il diavolo esiste?

-No, neanche il diavolo esiste.

-Peccato. Al diavolo! Che cosa non farei a chi per primo ha inventato Dio! Neanche impiccarlo a una tremula potrebbe bastare.

-Non ci sarebbe stata la civiltà, se non avessero inventato Dio.

-Non ci sarebbe stata? Senza Dio?

-Esatto. Non ci sarebbe stato neanche il cognacchino. Ma adesso mi toccherà togliervi quel cognac.

-Aspetta, aspetta caro, ancora un bicchierino…

Il dialogo è emblematico non soltanto perché rivela il contrasto tra i due fratelli, ma perché evidenzia le contraddizioni insite nella teologia e nello scetticismo. Negare l’esistenza di Dio non risponde a tutte le domande: non può spiegare l’evidente esigenza umana di concepire Dio, né può non ammettere che senza Dio non ci sarebbe stata la civilizzazione (e nemmeno, come Ivan ironicamente nota, il cognac, che tanto ama suo padre Fedor) nel senso che non ci sarebbe stata evoluzione. Si viene a creare così un paradosso: qualcuno si prende gioco dell’uomo e lo costringe a “sognare in un giardino incantato”, a credere in qualcosa che non c’è, forse è proprio il diavolo, ma un momento: se non esiste Dio, non può esistere nemmeno il diavolo!

Un punto rimane fermo nella concezione di Ivan: non esistendo immortalità, non esiste neppure Dio, e viceversa. All’immortalità è connesso strettamente il Bene: è nella speranza e nella credenza che l’anima sia immortale, che la condotta terrena acquista pregnanza.

È sulla base di questa affermazione preliminare che Dostoevskij mette le premesse per far vacillare l’intero sistema. Ci dice immediatamente che Ivan non crede, e lo fa con una certa sfrontatezza e, inizialmente, senza alcuna spiegazione.

Le spiegazioni verranno più avanti, in una delle parti più belle de “I fratelli Karamazov”: quella dedicata al racconto nel racconto “La leggenda del grande inquisitore”.Questa parte potrebbe essere presa alla lettera come manifesto dell’ateismo ottocentesco, in quanto espone con grande eleganza il motivo per cui il concetto di Dio formulato dalla religione cristiana è un controsenso cui è impossibile credere. Non lo è per ragioni logiche, dal momento che non può essere utilizzata la logica contro qualcosa di illogico: lo è per ragioni morali

Ivan Karamazov, la figura più brillante e tormentata del romanzo, l’intellettuale e lo scettico fra i 3 fratelli, espone al fratello minore Aleksey un brano che ha scritto a riprova dell’assurdità del mondo voluto da Dio.

La cifra dell’assurdo, dell’incomprensibile, è quella su cui farà leva Ivan per rinnegare Dio. Il mondo terreno si basa su assurdità concettuali che portano necessariamente a rifiutare l’intera concezione cristiano-religiosa su cui è basato.

Questo innanzitutto per l’assurdo che contraddistingue tutto il credo cristiano e la questione del libero arbitrio. Ne Il grande inquisitore, Ivan si immagina che, ai tempi dell’Inquisizione spagnola, Dio scenda sulla terra e si manifesti. Un vecchio inquisitore lo mette al muro, minacciando di volerlo condannare a morte per il suo comportamento ingrato e assurdo verso gli uomini. “L’uomo non cerca tanto Dio, quanto il miracolo”, è l’assunto dostoevskjano: l’uomo per natura vorrebbe essere sottomesso, diretto da qualcuno di potente, scaricarsi il peso della libertà, e se Dio si fosse manifestato sulla terra dandogli il pane, la spada e la sottomissione, l’avrebbe reso libero da tormenti esistenziali, dubbi e dal peccato. Invece,  Dio ha resistito alle tentazioni del Diavolo di manifestarsi all’uomo tramite il miracolo per lasciare l’uomo anche libero di non credere! Il libero arbitrio, cioè, viene visto come la maledizione della coscienza umana, vittima di troppa libertà e quindi della dissoluzione, del peccato, del tormento eterno e del dubbio.

Ivan si spinge oltre e fa al fratello una semplice domanda: come giustificare la fede di fronte alla morte di un bambino?

Il tema dei bambini è centrale in Dostoevskij. Viene sollevato per la prima volta ne L’Idiota. Il principe Mishkin si chiede, con la consueta ingenuità e con lo stupore di fronte alla crudeltà del mondo, una domanda semplice e forse scontata: perché i bambini muoiono?

Ivan Karamazov va oltre: descrive al fratello Aleksey, con dovizia di particolari, episodi raccapriccianti, di inaudita crudeltà, accaduti in Russia, in cui bambini vengono abbandonati, seviziati, uccisi. La loro sofferenza è talmente straziante da essere sufficiente per rigettare tout court la fede in Dio, e senza possibilità di replica: l’affermazione, semplice e diretta, è auto-fondantesi e auto-evidente. Non v’è bisogno di dimostrare oltre il perché dell’assurdità della fede: qualunque affermazione che risponda all’obiezione si rivelerebbe troppo debole.

Il pensiero è espresso dall’elegante ed emblematica frase:

“Non voglio l’armonia, è per amore dell’umanità che non la voglio. Preferisco rimanere con le sofferenze non vendicate e nella mia indignazione insoddisfatta, anche se non dovessi avere ragione. Hanno fissato un prezzo troppo alto per l’armonia; non possiamo permetterci di pagare tanto per accedervi. Per tanto mi affretto a restituire il biglietto d’entrata. Non che non accetti Dio, gli sto solo restituendo, con la massima deferenza, il suo biglietto”.

Il fatto che muoiano e soffrano innocenti che non hanno ancora peccato, la cui mente non può nemmeno comprenderne il significato, suscita un orrore talmente grande che nessun tipo di obiezione risulterebbe a suo modo adeguata: la morte dei bambini non ha giustificazione in nessun caso contemplabile, non nel migliore dei mondi possibili, non in un mondo che preveda Dio, non per perseguire l’armonia. La classica risposta che si può dare è: “Dio opera in modo misterioso”. Ebbene, Ivan afferma con convinzione che nessun mistero divino, nemmeno il più alto, il più meraviglioso, il più incomprensibile alla mente umana sarebbe in grado di giustificare un bambino malato di leucemia, sbranato o violentato. (Meno elegantemente un comico australiano, Jim Jeffries, ha detto: “Cosa c’è di misterioso nell’agire come un figlio di puttana? E’la cosa meno misteriosa del mondo!”).

È da notare che Dio è inteso qui nel senso cristiano, come antropomorfo e creatore: responsabile, in qualche misura, delle azioni umane. Ove Dio fosse concepito esclusivamente come un ordinateur che si limita a ordinare, ma non a creare il mondo (Platone l’avrebbe chiamato demiurgo, Leibniz tirò in ballo il complicatissimo sistema delle monadi per limitare il potere di Dio, ma in questo modo gli tolse l’onnipotenza tout court, imponendogli, per così dire, dei limiti strutturali e dunque rendendolo non totalmente dissimile dal demiurgo platonico: un “mero” organizzatore della khora, la materia dell’universo, substrato perenne, secondo i greci, sempre esistita), il problema morale sarebbe assai sfumato o non si porrebbe affatto. Il punto focale del discorso di Ivan Karamazov si basa invece sulla concezione cattolica di divinità, comune a tutte le religioni monoteistiche: Dio è colui che, nominabile o non, concepibile in molte maniere, è creatore, è la controparte della vita terrena con il quale si dialoga tacitamente, la spiegazione inarrivabile ad ogni mistero del cosmo, la risposta nell’aldilà ad una condotta mondana, la garanzia d’immortalità, di salvezza ultraterrena. Qui la differenza tra ortodossia od ortoprassi non è rilevante, così come non lo sono le differenze tra religione cattolica e musulmana. Che lo si voglia chiamare conforto, “favola per un malato terminale”, ignoto, è ragionevole affermare che il tipo di Dio cui si fa riferimento abbia, nelle diverse religioni occidentali, caratteristiche comuni. È la concezione di Dio che nasce dopo il mondo pagano e contro cui non solo Ivan Karamazov, ma quasi contemporaneamente Nietzsche puntò il dito, vedendo nel declino della tragedia greca e nella figura di Socrate l’inizio della mentalità occidentale cristianeggiante, che si estendeva anche ad est, fino in Russia e nella sconfinata Siberia.

OBIEZIONE: L’obiezione che si potrebbe presentare a Dostoevskij è che Dio è un concetto, e come tale può essere contestato soltanto con un altro concetto. Si gioca sullo stesso piano, ed a ragione possiamo ben dire che sul piano dialettico una cosa vale l’altra. Il problema è che la fede non è un pensiero, ma un sentimento: è qui che il piano si scinde. La razionalità di Ivan non può combattere contro l’irrazionalità dell’esigenza umana della fede. La mancanza di fede, il nichilismo russo dilagante, secondo Dostoevskij, ha un pericoloso rovescio della medaglia: può giustificare razionalmente il delitto, laddove “se non c’è Dio, tutto è permesso”, come dice Smerdjakov, assassino del padre Fedor Karamazov (vero è che anche la fede potrebbe giustificare il delitto: uccidi Isacco per me, ordinò Dio ad Abramo; uccidete gli infedeli, gridano i fondamentalisti dell’Isis, tuttavia qui si parla della fede “civilizzata”, integrata nelle leggi e nella quotidianità). La differenza è che la fede si basa su un piano sovra-terreno, insindacabile. E’ alle masse che ci si rivolge, e se si vuole evitare che si annientino (o al contrario se si vuole spingerle ad annientarsi) a vicenda, vanno prese sul lato sentimentale, non si può certo mandar loro un Ivan Karamazov che filosofeggia. Di fatti, il suo speculare intellettuale viene mal compreso da Smerdyakov, ed ecco che il servo commette un delitto. Proprio questo parricidio grossolano commesso da Smerdjakov, fratellastro Karamazov mai riconosciuto dai suoi famigliari, è il centro del romanzo: è il volgo che male interpreta i pensieri ateisti della classe istruita, è l’irrazionalità priva di fede volta verso il Male.

Qui entra in gioco la questione dostoevskiana del delitto. Ma questa è un’altra storia.

Immagine dal film “I fratelli Karamazov”, 1969, Pyr’ev, Lavrov, Ulyanov