Le custodi dell’Hermitage

Sarà azzardato, ma vorrei proporre uno sguardo differente del grandioso museo di San Pietroburgo, l’Hermitage. Per visitarlo tutto ci vogliono mesi, ha all’interno opere di ogni epoca, sale meravigliose di ambra e malachite… tutto questo è vero, tutto questo si sa già. Quello che mi ha colpito è qualcosa che forse non si nota subito, eppure è evidente. Sono del tutto evidenti queste babushki, queste anziane signore con i loro seggiolini, appostate in ogni sala, a controllare che non si facciano fotografie o non si danneggino le opere esposte. Di fotografie sono riuscita a farne tante, beccandomi ogni volta il loro: “ne fotografirovat!”- non si fotografa!, ma quello che le signore non capivano, è che a un certo punto io non fotografavo più le opere, ma loro. Trovavo che, come per quegli strani scherzi ottici che a volte ci sorprendono, si fosse creata una straordinaria somiglianza tra le custodi e i quadri custoditi, come se l’uno inghiottisse l’altra, e per osmosi, diventassero entrambi della stessa natura, dello stesso materiale. La trama s’infittiva ancora di più nel notare che non solo all’Hermitage, ma anche in altri musei accadeva lo stesso. Eclatante fu il caso della casa-museo di Dostoevskij, sempre a San Pietroburgo, sul Kuznechniy pereulok 5/2: la signora che custodiva il museo si era tramutata in una delle bambole appoggiate al divano. Stessa posizione, stessi abiti. Forse non era neppure viva!

Accade a volte tra il cane e il proprio padrone, che la fisionomia di entrambi diventi simile- la spiegazione razionale è che lo era già, perché il padrone tende a scegliere il cane a propria immagine e somiglianza, quasi fosse una propaggine più primitiva di se stesso, un figlio a quattro zampe. Allo stesso modo piace tanto alle religioni antropomorfiche pensare che quando Dio creò l’uomo, lo fece a propria immagine. E’Dio ad essere simile all’uomo, o, più propriamente, l’uomo ad esser simile a Dio? L’uomo crea il suo Dio e quando lo deve raffigurare o immaginare, gli dona l’unico aspetto che conosce e che lo rassicura, ovvero il proprio. In questo modo il suo essere ignoto ed alieno diviene accettabile.

Nel caso delle donne dell’Hermitage, però, qualcosa non quadrava. Quelle donne non avevano scelto d’essere nel museo, e di fronte a quale quadro stare. Probabilmente avevano accettato un lavoro che avrebbe consentito loro di non fare troppo movimento, data l’età non più giovane- come quelle che stanno nei gabbiotti della metropolitana a controllare il funzionamento delle scale mobili; è stata la necessità a guidarle, non la volontà; mi permetto di supporre che l’assegnazione delle sale all’una o all’altra sia avvenuta in maniera altrettanto casuale, o comunque senza il loro intervento. Come si spiegava, dunque, la loro straordinaria somiglianza con le opere? Misteri della vita e dell’arte. Inganni dell’occhio, a cui piace creare analogie tra le forme? Eppure, qualcosa di magico c’era davvero in quel luogo- qualcosa di irrazionale: le signore parevano divenire polverose e statiche come i pezzi da museo cui erano poste accanto. In questo modo l’interesse verso i quadri si dilatava, diventando ampio come le sale dell’Hermitage. I colori e le pennellate si prolungavano a lambire quelle signore, immobilizzandole, sicché tutto- ogni cosa, ogni centimetro di quei luoghi- diveniva un dipinto. Anch’esse si erano tramutate, in un certo senso, in opere d’arte.

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