Curiosando fra ritratti russi dell’Ottocento…

Alla galleria Tretyakovskaya di Mosca si possono ammirare quadri russi dal 1500 ai giorni nostri. La stragrande maggioranza di dipinti, fino all’Ottocento, è costituita da ritratti. Devo dire che sono passata velocemente per le stanze dei primi ritratti, perché sebbene ogni tanto qualcuno emerga dal mucchio e colpisca, sono standardizzati, imbrigliati dai doveri della tradizione, dal gusto dell’epoca. E’ a partire dall’Ottocento che in Russia emerge una pittura nuova, più matura, più affine al gusto contemporaneo, dove si vuole mostrare non soltanto l’aristocrazia, ma anche e soprattutto i contadini, il popolo. Qui si fanno notare pittori straordinari come Perov e Repin. Delle loro opere vorrei far notare i ritratti nuovamente, a sottolineare la differenza tra ritratti nuovi, che parlano, e quelli appartenenti ai periodi precedenti.
Analizziamone alcuni, a mio parere significativi.
Allegoria dell’inverno a immagine di un vecchio“che si riscalda le mani vicino al fuoco è un quadro di Borovikovskij del 1804. Già qui cominciano ad emergere caratterizzazioni che esprimono agonia e povertà attraverso lo sguardo mendicante e le rughe di un anziano dagli abiti dismessi. Mi ricorda tanto il barbone di “Aqualung” dei Jethro Tull, descritto non solo dalle splendide parole della canzone, ma anche raffigurato nella copertina del disco, mentre si regge i lembi del cappotto, “eying up little girls with bad intents” (guardando ragazzine con cattive intenzioni). Con Borovikovskij, però, non ci si è ancora spinti oltre la tradizione: siamo nell’ambito della sublimazione dell’allegoria, che edulcora la realtà e ci dice che non dobbiamo spaventarci, perché quel vecchio è l’Inverno astratto, non esiste realmente.
     

Il passo avanti nella direzione del realismo arriva con un capolavoro del 1868: l’opera “Fomushka-sych“di Perov, che raffigura un contadino. In ogni piega della barba folta e scomposta, con arricciature che ricordano quelle delle sculture greco-romane raffiguranti satiri o fauni, possiamo cogliere la meticolosa precisione nella rappresentazione della complessità della persona raffigurata. La bocca è tesa all’ingiù, lo sguardo è penetrante con una punta arcigna, sofferente ma beffarda. L’uomo ci guarda e ci sfida, buttandoci in faccia, con la profondità del suo essere, tutta la semplice verità della sua storia. Questa muta e поразительная (termine intraducibile in italiano se non in: “che colpisce”) capacità rivelatrice conferisce al contadino qualcosa di demoniaco, che riesce a toccare qualcosa dentro chi lo osserva, pur lasciando lo spettatore incapace di descrivere precisamente cosa. Non a caso Turgenev lo paragonò a Socrate.

Perov è anche autore del famoso ritratto di Dostoevskij, dove lo scrittore è raffigurato con le mani congiunte in un’espressione pensierosa, che si potrebbe dire colga il maestro nella drammaticità del suo atto creativo.

Repin, contemporaneamente a Perov, porta l’espressione dei suoi uomini del popolo ad un livello lirico. Celebre è il suo macabro quadro: “Ivan il terribile e suo figlio Ivan“, in cui lo zar è ritratto nell’espressione di terrore, pentimento, sgomento e orrore che lo pervade, un attimo dopo aver ucciso suo figlio. Il quadro è magistrale, parla da sé. Commentare le sensazioni che lascia sarebbe superfluo e non gli renderebbe la dovuta giustizia.

Interessante è lo studio per l’espressione di Ivan che Repin condusse, realizzando il ritratto del pittore Myasoedov, dallo sguardo allucinato. La straordinarietà dell’abilità del pittore è nel riuscire a conferire ai suoi ritratti sguardi estremamente forti, pur non indirizzandoli direttamente allo spettatore. Si sa che lo sguardo “in camera”è più diretto e fu la fortuna di innumerevoli dipinti e fotografie (si pensi alla Gioconda), ma qui la disperazione rivolta altrove è persino più efficace, perché permette un’empatia maggiore con il soggetto, poiché lo sguardo non ghermisce l’Io a cui il soggetto si rivolge, e lo lascia libero di immedesimarsi.

Sempre Repin, nel suo “Burlaki na Volge“(battellieri sul Volga)- che si può ammirare a San Pietroburgo nel Museo Nazionale- realizza un’opera eccezionale perché contiene un ritratto. Nel quadro, 11 trasportatori vengono colti nel momento del lavoro- essi trainano, legati tutti insieme, la barca che si intravede dietro, a destra, avanzando a fatica con una gamba, le corde a far leva sul petto. Uno in particolare non si può non notare. Il volto simile a quello di un filosofo, il suo sguardo è imbronciato e insieme calmo, saggio, le sopracciglia aggrottate verso il basso, la gravità dell’espressione che porta e sopporta il peso fisico della barca, morale della vita. Si tratta di Kanin, uno dei battellieri che Repin incontrò nel suo viaggio sul Volga e che lo lasciò estasiato, poiché a suo avviso si distingueva da tutti gli altri: dalla “larga fronte intelligente”, com’egli lo definisce nel suo scritto “Lontano-vicino”, egli è “il culmine dell’epopea dei battellieri”. Il quadro impressionò positivamente anche Dostoevskij, che scrisse che sfugge ai luoghi comuni, perché “fortunatamente, vi sono rappresentati battellieri, veri battellieri e nient’altro. Nessuno di essi nel quadro grida allo spettatore quanto è infelice, e fino a dove le classi più alte hanno indebitato il popolo”.

     

Sulla stessa scia è infine il ritratto di Mina Moiseev di Kramskoj, del 1883. Qui nuovamente è dipinto un vecchio contadino rugoso con le braccia conserte, posizionato di 3 quarti, che solo ad una prima occhiata appare dimesso e fragile, poiché in realtà ha ampie spalle e un’espressione forte, si direbbe quasi sorrida sotto l’ampia barba. Non è sofferente. Appare saggio e consapevole, in quegli occhipungenti ed infossati, accentuati dall’ombreggiatura dell’osso sopracciliare. Il quadro dà una sensazione di forza calma e di buonsenso, saggezza (in russo: sdravij smisl, здравый смысл). E qui, per smentire ma insieme confermare questo intento, basterebbe citare Dostoevskij e i suoi antieroi de “i Demoni”, che già si affacciavano in Russia mettendo in discussione tutto, e preparando alla Rivoluzione. Ovvero che: нужно быть действительно великим человеком, чтобы суметь устоят даже против сдравого смысла- “bisogna essere uomini davvero grandi, per poter resistere persino al buonsenso”.

2 Risposte a “Curiosando fra ritratti russi dell’Ottocento…”

  1. bellissime opere, ora mi sono chiare molte cose che mi sfuggivano dell’arte russa ottocentesca! Adoro questo periodo storico ricchissimo di novità e tradizioni.

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