Il circo di Mosca tra finzione e realtà

Recentemente è stato pubblicato un mio racconto, intitolato: “Sogno di un clown”, sull’antologia “Che rumore fa la città”, edita dalle edizioni Senso Inverso di Ravenna. Il racconto, come si evince dal titolo, parla di un clown, ed è ambientato al circo di Mosca.

Vorrei raccontare un breve episodio al riguardo.

Mi è capitato di visitare il circo di Mosca, quello sul Prospekt Vernadskogo, vicino all’università (metro Universitet), qualche mese fa. Lo consiglio a tutti coloro che visitino la città. La cosa incredibile è che quel tendone, durante i mesi in cui frequentavo un corso di russo all’Università Lomonosov, rimase per me un edificio misterioso, muto. Non avevo mai pensato di andare a vedere il circo, seppure in molti ne parlassero.
E’ curioso il fatto che, alcuni mesi dopo, scrissi una serie di racconti ambientata proprio al circo di Mosca. Un circo che, non avendo mai visitato, potevo solo immaginare.
Figurandomi l’atmosfera un po’malinconica e retrò di un gruppo di artisti e acrobati bizzarri, inventai alcune storie d’amore legate alla loro vita itinerante e fuori dagli schemi.
Dopo oltre un anno dalla stesura di quei racconti, finalmente l’ho visitato. Mi ha impressionato la professionalità degli artisti, la complessità dei numeri, la bellezza e raffinatezza dei costumi. Il circo, gremito di gente di ogni età, accompagnato da un’orchestra rock, è uno spettacolo in tutto e per tutto contemporaneo: anche nell’aspetto e nella musica si è adattato ai nostri tempi. Non ha nulla da invidiare allo splendido Cirque du Soleil. Forse l’unica cosa un po’ retrò sono i numeri con gli animali: il domatore di animali feroci e due belle signore che ammaestrano uccelli e cagnolini.  Per il resto, si è rivelato piuttosto diverso da quello dei miei racconti, che era più classico, più stereotipato, più romantico.

Mi piace immaginare quegli acrobati professionisti riunirsi sotto il tendone alla sera o coricarsi dentro le roulotte e girare il mondo, pur sapendo che si tratta solo di congetture fantastiche. Eppure, c’è qualcosa che non mi permette di esser delusa, contrariamente a ciò che, secondo Proust, accade ogni qual volta che ci si figura qualcosa o qualcuno, e poi lo si vede per davvero. Il segreto del mio entusiasmo è nel capo clown del circo di Mosca. In quel bellissimo clown completamente bianco e con corna da da diavolo ho ritrovato la magia dei miei personaggi di sogno. Il suo costume era straordinario, iperbolicamente panciuto, d’un bianco abbagliante che non permetteva di poggiare lo sguardo altrove. Non aveva nulla in comune con l’idea classica che tutti hanno del clown, persino spaventosa, con i riccioli e il nasone rosso e la saloppette colorata. Era qualcosa d’altro, oserei dire di prodigioso. Chi sarà mai quel clown, una volta abbandonato il palco, tornato a casa dalla sua famiglia, dove vivrà, che aspetto avrà sotto quella maschera? Il racconto premiato nell’antologia, dunque, pare essere quasi un sogno, un prodigio: l’immagine del clown reale del circo di Mosca, vista a posteriori, coincide straordinariamente con quella da me immaginata a priori e descritta quasi un anno prima nel racconto.

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