Brodskij, la neve e il tempo fermo

C’è una splendida poesia di Brodskij, che si intitola “Sei anni dopo”. Parla di sei anni di convivenza. Sei anni di vita insieme di due persone. Sei anni che paiono un’intera vita. Di questa poesia colpisce in particolare la bellissima immagine delle palpebre che si agitano sul palmo della mano come il battito d’ali delle farfalle. In italiano in particolare, “palpitare sul palmo come un pugno di farfalle” ha una musicalità inusitata e del tutto casuale.

L’immagine della neve che scende e pare non finire mai è l’emblema della poesia: rende perfettamente l’idea della lentezza, della routine della vita insieme. Questo lento incedere della neve, i gennai che si susseguono, le labbra che si poggiano alla spalla e soffiano sulla candela, il buio, il vecchio divano scalcinato, la noia di vivere senza libri né altri passatempi, tutto è un’immagine di un tempo fermo. La neve, con i suoi fiocchi ovattati e il suo candore assoluto, uniforma e congela ogni cosa, ricoprendola di una patina insonorizzata di stasi che sembra fagocitare anche il tempo nella sua lentezza, cristallizzarlo.

Il tempo della neve è un tempo altro, non quello delle clessidre né della quotidianità. Non è il tempo lineare dei calendari. E’ il tempo dell’attesa, delle palpebre che ballano osservando il lucore tremolante dei fiocchi che cadono sempre uguali. Il tempo di un inverno che sembra non finire mai, di un’eternità delicata e silente. La neve produce giochi di luce e colore unici, perché il suo specchio opaco riflette tutti i colori possibili. E’ tentando di concretizzare questa immagine del bianco inverno russo, devastante ma romantico, che ho cercato alcuni dipinti russi di fine Ottocento- metà Novecento. Li trovate qui sotto.

Riguardo la poesia di Brodskij: solitamente le traduzioni delle poesie straniere si prendono molte licenze per ricreare la musicalità originale. C’è versione di questa poesia in particolare, pervenutaci in italiano, che senz’altro suona meno limacciosa e più poetica. La si trova in libreria, su Internet ahimè ce n’è solo una strofa. Tuttavia io sono per restare il più possibile letterali, anche quando si tratta di letteratura, perché credo che gran parte della bellezza e dello spirito degli artisti si perda proprio nell’inevitabile gap della traduzione. Per non rimanere “lost in translation”, l’ho quindi tradotta personalmente in una maniera che potrà risultare meccanica e oscura, ma che spero apprezziate per la sua fedeltà al testo russo.

Sei anni dopo  (1968)

Abbiamo vissuto insieme così a lungo, che di nuovo

il due di gennaio è caduto di martedì,

che un sopracciglio alzato con stupore,

come dai vetri dell’automobile il tergicristallo,

dal viso ha scacciato una vaga tristezza,

lasciando una distesa limpida.

 

Abbiamo vissuto insieme così a lungo, che la neve

quando scendeva, sembrava infinita,

che, perché le sue palpebre non sussultassero,

facevo loro scudo con la mia mano, e le palpebre,

fingendo di non credere che provassero a proteggerle,

palpitavano nel palmo, come un pugno di farfalle.

 

Le novità sembravano così estranee,

che gli stretti grovigli del sonno

avrebbero invalidato qualunque analisi psicologica.

Che le sue labbra, appoggiatesi alla spalla,

alle mie labbra che spensero la fiamma della candela,

non potendo vedere null’altro, si univano.

 

Abbiamo vissuto insieme così a lungo, che

la nidiata di brandelli di rose è svanita,

è divenuta un cespuglio di betulle,

ed entrambi avevamo soldi, in qualche modo,

e per trenta giorni sul mare, come una lingua,

il tramonto minacciava d’incendiare la Turchia.

 

Abbiamo vissuto insieme così a lungo senza libri,

senza mobili, senza oggetti, su quel vecchio

divano, che, prima che arrivasse,

c’era un triangolo perpendicolare

rialzato da qualche conoscente in verticale

sopra due punti uniti.

 

Abbiamo vissuto insieme così a lungo,

che delle nostre ombre facemmo

una porta- che lavorassimo o dormissimo,

le sue ante non si aprivano separatamente,

ma vi passammo, a quanto pare, attraverso,

e uscimmo con passo nero

verso il futuro.

 

Шесть лет спустя (1968)

Так долго вместе прожили, что вновь
второе января пришлось на вторник,
что удивленно поднятая бровь,
как со стекла автомобиля — дворник,
с лица сгоняла смутную печаль,
незамутненной оставляя даль.

Так долго вместе прожили, что снег
коль выпадет, то думалось — навеки,
что, дабы не зажмуривать ей век,
я прикрывал ладонью их, и веки,
не веря, что их пробуют спасти,
метались там, как бабочки в горсти.

Так чужды были всякой новизне,
что тесные объятия во сне
бесчестили любой психоанализ;
что губы, припадавшие к плечу,
с моими, задувавшими свечу,
не видя дел иных, соединялись.

Так долго вместе прожили, что роз
семейство на обшарпанных обоях
сменилось целой рощею берез,
и деньги появились у обоих,
и тридцать дней над морем, языкат,
грозил пожаром Турции закат.

Так долго вместе прожили без книг,
без мебели, без утвари, на старом
диванчике, что — прежде чем возник —
был треугольник перпендикуляром,
восставленным знакомыми стоймя
над слившимися точками двумя.

Так долго вместе прожили мы с ней,
что сделали из собственных теней
мы дверь себе — работаешь ли, спишь ли,
но створки не распахивались врозь,
и мы прошли их, видимо, насквозь
и черным ходом в будущее вышли.

 

Pisemskij, “Paesaggio nevoso con isba”

Pisemskij, paesaggio nevoso con isba

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Pisemskij, “Effetto della neve”

Pokhitonov- Effetto della neve