Alan Turing, genio poco compreso

The imitation game, in questi giorni nelle sale, è un film sulla vita di Alan Turing, e in particolare sulla straordinaria impresa di decodificazione di Enigma, il codice criptato che i nazisti usavano durante la Seconda Guerra Mondiale per comunicare informazioni segrete. Si dice che grazie alla decifrazione dei messaggi gli Alleati siano riusciti a vincere la guerra in soli due anni, evitando la morte di milioni di persone. Il film a mio avviso è splendido: emozionante, a tratti commovente. Non capisco perché, nelle recensioni in cui capita di imbattersi, venga continuamente sottolineato il lato “televisivo” della pellicola, realizzata sul modello delle recenti fiction della TV. Non ho visto lo sceneggiato su Turing che pare sia andato in onda di recente in Inghilterra, ma, da profana del cinema, non comprendo il senso di questa distinzione, dal momento che The imitation game non pare paragonabile né ad uno sceneggiato, né ad una fiction. Il film regge soprattutto grazie alla recitazione di Benedict Cumberbatch, dalla mimica eccezionale.

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Tralasciamo per un attimo la recensione del film e parliamo di Alan Turing. Ciò che sconvolge di più riguardo il matematico dalla mente di un’intelligenza incredibile, è che, probabilmente per via del fatto che la sua straordinaria scoperta dovette rimanere segreta per 50 anni dopo il suo impiego, non è noto o celebrato quanto dovrebbe. Turing fu allievo di niente meno che Wittgenstein; è considerato il padre del computer, perché l’enorme macchina che realizzò era in grado di elaborare una grande quantità di dati complessi, e ispirò i moderni calcolatori. Fu colui che per primo si pose domande riguardo le intelligenze artificiali (la famosa questione: le macchine pensano? Domanda mal posta, secondo Turing, in quanto anche fra gli uomini ci sono divergenze di pensiero. Ogni pensiero è unico e, in un certo senso, non condivisibile. Qui sfioriamo i sofismi di Gorgia, ma il paradosso serve a porsi l’ulteriore questione: come distinguere il pensiero umano da quello di un computer? Come provare di essere umani, di avere una coscienza? Di qui i famosi “test di Turing”, volti a smascherare un’intelligenza artificiale da un uomo). Turing, del resto, disse, con ineguagliabile lungimiranza (contando che morì nel 1954): “credo che alla fine del secolo l’uso delle parole e l’opinione delle persone di cultura saranno cambiate a tal punto che si potrà parlare di macchine pensanti senza aspettarsi di essere contraddetti”. Per completare il quadro, e sfatare il mito che gli scienziati siano topi da biblioteca antisportivi, Turing fu anche un notevole maratoneta. Insomma, un uomo da sposare (con un PACS).

L’altra cosa sconvolgente, è che solo nel 2009 il governo inglese ammise finalmente che Turing fu vittima di un comportamento omofobico. Solo nel 2013, sotto pressione di illustri scienziati tra cui Stephen Hawking, la Regina d’Inghilterra gli concesse la grazia postuma riguardo la sua crudele condanna per “atti osceni” (ovvero per omosessualità). Questa fu probabilmente la causa del suo suicidio a soli 41 anni, forse con una mela al cianuro. Il film non approfondisce l’aspetto, ma ci sarebbe da discutere non poco riguardo il fatto che fino agli anni ’60 gli omosessuali venivano incarcerati o costretti alla barbarie della castrazione chimica in un paese ritenuto liberale e all’avanguardia come l’Inghilterra. Si potrebbe dire che aveva ragione il mitico Johnny Rotten dei Sex Pistols, quando cantava “God save the Queen/ a fascist regime..”!

La triste storia di una mente geniale, osteggiata dalla società, ricorda quella di un altro genio, ma in ambito artistico: Petr Il’ic Caikovskij. Anch’egli omosessuale e costretto a nascondersi, sposò Antonina Miljukova per copertura, ma il matrimonio ebbe esiti psicologici devastanti per entrambi, al punto che si separarono e Antonina morì poco più tardi in manicomio (come narrato nel bellissimo film L’altra faccia dell’amore di Ken Russell). Il matrimonio, ugualmente, indispose e provocò depressione nel compositore, al punto da farlo quasi impazzire, scatenando in lui istinti d’odio e repulsione verso la sua sposa. Turing fu più lucido di Tchaikovskij: rifiutò il matrimonio con la collega Joan Clarke, seppure lei avesse accettato, ma ciò gli costò la condanna. Se Tchaikovskij appare molto tormentato, Turing fu, riguardo le sue tendenze sessuali, molto più deciso e sicuro di sé, ammettendole e non rinnegandole mai, a costo di morirne.

Non si può evitare di notare, riguardo molti “uomini straordinari”, che sono quasi sempre associati a personalità molto complesse, difficili e antisociali. La condizione di diversità rispetto agli altri cui il genio è irrimediabilmente sottoposto genera comportamenti che la cinematografia la letteratura ama stereotipare, fino a rendere gli scienziati delle irresistibili “macchiette”: lo scienziato o l’artista è incapace di relazionarsi con gli altri, cinico, irriverente, ossessivo, perseguitato dai compagni di classe, alienato, strambo, ipocondriaco. Il Turing di Imitation Game ricorda tanto Sheldon Cooper di The Big Bang Theory, oppure il mitico Boris di Basta che funzioni di Woody Allen. Basta considerare l’insolita personalità del grande scienziato serbo Nikola Tesla (germofobo, ossessionato dal numero 3 e dai piccioni), l’ipocondria di Charles Darwin, Marcel Proust e Andy Wahrol, per rendersi conto che nel luogo comune di genio e sregolatezza c’è ovviamente del vero. Non facciamoci però strane illusioni, poiché, se si può dire che tra i geni una buona percentuale abbia una personalità non comune, non è vero il contrario. Se googoliamo ogni nostro più piccolo sintomo per poi tormentarci pensando di morire nelle prossime ore; se a scuola i nostri compagni ci chiudevano a chiave nell’armadio o ci attaccavano i chewing gum ai capelli; se i nostri colleghi ci dicono che siamo incapaci di provare empatia, e se contiamo gli scalini o le piastrelle e mangiamo solo cibo di colore bianco, questo, purtroppo, non significa affatto che siamo dei geni!

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