Quando le nature morte sono vive

I dipinti di nature morte sono tra i meno popolari. Gli oggetti raffigurati, generalmente, non colpiscono più di tanto, per il semplice motivo d’essere oggetti, e dunque di minor impatto dei volti o dei puri colori e delle forme dell’astrattismo. E’nel diciassettesimo secolo che la natura morta diviene un genere vero e proprio, e vediamo proliferare quadri che raffigurano fiori, frutta, strumenti musicali.

Ci sono casi in cui gli oggetti, tuttavia, sono in grado di parlare. Le nature morte, così, divengono… vive. Non mi riferisco soltanto al valore simbolico che possono assumere (basti pensare al gusto peculiare della vanitas, le rappresentazioni seicentesche in cui figura il teschio come simbolo dell’effimero e memento mori, o alle splendide incisioni del Duhrer), ma alla potenza con cui certi oggetti, disposti in una certa maniera, sono in grado di evocare sensazioni e pathos.

Prendiamo un dipinto dal forte impatto: Asfissia” di Angelo Morbelli, pittore italiano di fine Ottocento. Nel quadro non c’è nulla di vivo e animato, eppure esso vive e racconta una storia. Vediamo una tavola imbandita e i resti, confusi e avidi, di una cena consumata in fretta e smodatamente, oppure abbandonata all’improvviso. Ad una prima occhiata paiono i rimasugli di un banchetto, di una festa, lasciati nel disordine per incuria, ma ci si accorge ben presto che potrebbe essere la festa di una sola persona, il preludio di un suicidio, l’ultima cena di un condannato a morte dalla sua mente, o ucciso da qualcuno, da qualcosa, forse dallo stesso cibo? L’ultima abbuffata è talmente eloquente che la disposizione degli oggetti e l’ambiente tutto prendono un afflato malinconico, se non raggelante. I colori accesi che in un primo momento ci erano parsi allegri, o neutrali, assumono una sfumatura pesante, soffocante. I fiori sul pavimento, in quel tripudio di rosso, verde, bianco e giallo, spezzati e sgualciti, strappati al loro destino ancor prima che appassissero naturalmente, sono un’inerme e delicata violazione della bellezza, l’allegoria dell’interruzione della vita. Le bottiglie vuote hanno di per sé la malinconica accezione della fine, della frenesia consumata, così come le stoviglie usate e sporche. Il silenzio e il caos che segue ad una festa, la quiete dopo la tempesta, porta con sé un’indicibile, iconica tristezza: quella della fine di tutto, della morte. Della dissolutezza e dell’impeto della vita non resta che l’immobilità muta, ogni esistenza conduce inevitabilmente ad un naufragio di cui restano visibili soltanto gli avanzi secchi.

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Nella pittura russa troviamo, allo stesso modo, alcune nature morte notevoli ed eloquenti. Celebri sono quelle di Grabar’, pittore ungherese ma russo d’adozione nato nel 1871, la cui famiglia, da Budapest, si trasferì in Russia nel 1876. Nel dipinto “Fiori e frutti su pianoforte”, del 1904, la magia degli oggetti e delle pennellate serrate, increspate e mosse, in stile impressionistico, è aumentata dall’effetto del riflesso nel nero lucido del pianoforte a coda sul quale sono poggiati. Ogni elemento del dipinto si confonde e riflette negli altri, creando un’ovattata armonia, quasi come se ogni oggetto fosse immerso nell’acqua. Tutto luccica e oscilla, emergendo dai toni cupi di sfondo: la carta bianca in cui le mele sono avvolte, il bianco violetto delle infiorescenze sulla sinistra, l’azzurro del cesto di fiori al centro, suscitando una sensazione di delicata sospensione, di astrazione e meraviglia.

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Molto suggestivo è infine il dipinto, sempre di Grabar’, “I crisantemi”, che potremmo definire delicati e impressionisti, contrapposta all’espressionismo dei “Girasoli” di Van Gogh. Il crisantemo, “fiore d’oro”, come dice l’etimologia della parola, è così chiamato proprio perché erano sopratutto gialli. Si tratta di un fiore splendido, che in Cina fu coltivato a partire dal 500 a.C., ma si diffuse in Europa solo nel 1700 d.C., e in Russia intorno al 1800. E’curioso il fatto che solo in Italia sia visto come il fiore della morte, utilizzato largamente nei funerali, a causa della concomitanza tra la sua fioritura e il giorno dei morti. In Giappone è il fiore nazionale, emblema della famiglia imperiale, in Cina lo si usa durante i festeggiamenti dei compleanni, dunque in tutta l’Asia è simbolo di vita e felicità, proprio a causa della sua longevità (appassisce lentamente). In Russia, nazione ibrida, a cavallo tra Oriente e Occidente, il crisantemo non ha l’accezione funerea tipica italiana. E’in questa chiave che va letto il dipinto di Grabar’, interpretando dunque i gialli crisantemi come fiori che esprimono gioia. La bellezza del dipinto si coglie soprattutto dai diversi punti di osservazione: da lontano appare come una macchia bianca azzurrata, da cui emergono i fiori gialli nella parte superiore; da media distanza i colori divengono pieni; da vicino, invece, emergono le diverse sfumature di colore, i colori appaiono cangianti e sfaccettati. La grande importanza della luce, che immerge in prospettive sempre nuove, conferisce agli elementi pittorici un aspetto soffice, etereo e mutevole. Tutto appare fluttuante e vibrante, come se sbattessimo le palpebre inumidite dalle lacrime, come la visione offuscata dopo un tuffo in acqua. Se si osserva il quadro dai lati, infine, l’effetto madreperla lascia incantati, così i crisantemi cambiano sfumatura di colore, e da gialli divengono più opachi e tendenti al verde. Tuttavia, in quest’allegria cangiante, la malinconia è in agguato. In un certo senso il dipinto è piangente, caduco, madido di pioggia: i tratti del pennello sui fiori sembrano cadere verso il basso, mentre lo straordinario bianco azzurrato della tovaglia ha pennellate orizzontali e corte, come un mare perlaceo in cui la pioggia si tuffa. Freddo e caldo, il dipinto è cristallino e lieve, ma, nella freddezza dei toni azzurrati, ha l’aria di un telo bagnato e strizzato. Sicché, più che mai, ne “I crisantemi” cogliamo il delicato equilibrio tra bellezza e decadenza, vita e morte, pianto e gaiezza, quiete e solitudine: siamo sospesi in punta di piedi, siamo funamboli incantati sull’orlo dell’addio, danziamo, prigionieri della grazia dei fiori, ma con un’ombra di inquietudine.

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Grazie a Ludovica Vigevano per la segnalazione del dipinto di Morbelli

2 Risposte a “Quando le nature morte sono vive”

  1. Il quadro dei crisantemi è splendido! Adoro questo tipo di pittura. Complimenti, proprio un bell’articolo. Viviana

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